Ho visto un rospo. Gracidava, credo. Non potrei dirlo perché a me è sembrato che la sua voce fosse più melodiosa di un canto di sirene. Melensa, dite? No, melodiosa. Proprio melodiosa. Come un canto di sirene. No, continuate a non capire: le sirene non sono quelle che ululano sulle ambulanze o segnalano l'ora della pausa. Le sirene di Ulisse, quelle lì. Che ti fregano ma lo sai soltanto dopo.
Insomma, fatemi raccontare.
Ho visto un rospo e l'ho sentito gracidare, e mi sono avvicinata.
"Che bel principe", ho pensato. E gli ho teso la mano.
Il rospo lì per lì deve avermi scambiata per una di quelle donne che lasciano a casa gli occhiali per troppa vanità quindi non riescono a vedere bene, e ha sorriso poco convinto.
"Guarda che sono un rospo", ha sussurrato. Ma io gli ho dato una carezza sulla testa.
"Lo vedo, ma la tua voce è una melodia. E so che sei un bellissimo principe".
Lo so, a volte le fiabe fanno danno. Credi di vedere una cosa invece è tutt'altro, pensi a quando da bambina ti accoccolavi nel letto e qualcuno leggeva di re e regine, e mostri che non facevano male a nessuno. E ci credi. Pensi che se qualcuno ha inventato quelle fiabe è perché davvero niente di male può accadere. Se ne sei convinta.
Il rospo ha scosso la testa, ma in fondo ai suoi occhi sporgenti e umidicci ho visto un lampo di soddisfazione.
"Se lo dici tu... Sono sempre stato trattato come un rospo e probabilmente mi ci sono abituato. Vedo il mondo da questa palude, da sotto in su, e quando salto ho l'illusione di arrivare al cielo. Ma ricado subito e non posso fare a meno di tornare alla realtà. Quella di rospo, rospo che gracida e non sa fare altro".
A volte diventa una missione. Volevo dimostrargli che era un principe, e che la sua voce melodiosa mi aveva incantato il cuore. Mi sono seduta sul ciglio della palude e l'ho fissato con il migliore dei miei sguardi.
"Sei rospo perché vuoi esserlo, ma io lo so. Ne sono certa. Sei un principe meraviglioso e ti porterò con me in cima al mondo".
Il rospo deve avere pensato che la mia follia fosse tanto evidente da non meritare approfondimento, è saltato fuori dalla palude e si è messo sulla mia spalla.
"Da qui il mondo è diverso, sai?", ha detto un po' maligno. E mi ha soffiato qualche bugia nell'orecchio.
Contenta, ho camminato intorno alla palude e ho mostrato al rospo gli angoli segreti del bosco.
"Vedi? Qui e qui. Il mondo è bello, devi osservarlo con gli occhi liberi e la mente sincera di un bambino".
Ci ha provato, il rospo. Ha fatto la faccia seria e ha guardato le foglie e gli alberi e i sentieri. Mi ha fatto pic pic sul collo e ha cantato una canzone. Un cra cra cra continuo che ha fatto fuggire gli uccelli dai rami e i daini dalle radure.
"Che bella, la tua voce", ho detto estasiata quando ha smesso di cantare, e l'ho accompagnato ancora più in là.
"Quella in fondo è una città, la vedi?".
Ha posato la piccola zampa sulla fronte e ha seguito la direzione della mia mano. Pieno di sussiego e di concentrazione.
"Che meraviglia! Nessuno mi ha mai dato tanta attenzione, nessuno mi ha mai mostrato una città". E mi ha baciato la guancia ridendo contento.
Cra cra cra.
Quando è scesa la sera, il rospo mi ha chiesto di ritornare alla palude. Ho camminato felice parlando della vita e dell'amore, e cogliendo per lui bellissimi tulipani. Poi l'ho sollevato sul palmo della mano e l'ho posato piano su una foglia che galleggiava sull'acqua putrida e puzzolente.
"Ciao rospo, tornerò a trovarti". E sono andata via.
Son ritornata a vederlo tanti e tanti giorni, e la sua voce melodiosa (noooo, non melensa! Melodiosa, ho detto) mi ha accarezzata.
Dovreste vederli, i rospi sorpresi che saltellano qua e là e si sentono principi! A malapena si riesce a trattenerli perché forse si rendono conto che potrebbero vivere più in là. Fuori da paludi e stagni e vasche di melma galleggiante. E cantano, cantano, cantano. E fanno cra cra.
Una sera ho riaccompagnato il rospo e gli ho detto:
"A domani", e il lampo nei suoi occhi è stato strano.
"Qualcosa non va?", ho chiesto subito.
"No, va tutto bene. Se ci fossero problemi te lo direi", ha risposto guardandosi intorno. E ho visto una piccola ranocchia verde che si nascondeva nel folto del bosco, ridacchiando.
"Sicuro che vada tutto bene? Puoi dirmelo se domani hai un impegno nella tua palude".
Il rospo ha fatto un salto enorme, ed è sprofondato nell'acqua scura senza dire niente. Senza neanche salutare.
Insomma, la mattina dopo sono ritornata. E niente, il rospo non c'era. E la mattina dopo ancora, e di nuovo per tante altre mattine.
Il rospo non era nella sua palude, e i segni di due piccole zampette portavano all'albero dove avevo visto sparire la ranocchia verde che rideva.
Finché un giorno, passando per caso dalla palude e senza più cercare il rospo, l'ho visto su una foglia. La ranocchia verde lo teneva al guinzaglio con una liana stretta al collo, e lui cantava con la sua voce melodiosa. Solo che... Ci credereste? Quando mi sono fermata e ho ascoltato bene, allungando il collo per sentire, mi sono accorta di una cosa. La più incredibile della mia vita. La sua voce. Che mi aveva affascinata per tanto e tanto tempo. Era solo una cra cra di rospo, e in fondo agli occhi che sporgevano umidicci non c'erano principi.
In fondo ai suoi occhi non c'era proprio niente.
STORIA MOLTO ATTUALE MARIAGIOVANNA.
Tutto lo Stivale è un pieno gracidar di rospi e ranochi e rane.Ma per fortuna ci son sempre le ALLODOLE e i DELFINI! Notte dolce e,grazie sempre per le belle storie.Ma ora zuppa con un bordeaux d'annata che un'amico "speciale" m'ha portato proprio oggi e che berrò alla TUA salute.Bacio,Bianca2007
Scritto da: BIANCA 2007 | 04/11/2008 a 21:26
Zampata da gatto imprevedibile e sveltissimo. Brava. Cra cra cra
Scritto da: gianni | 04/13/2008 a 14:09
cra!
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 04/14/2008 a 08:31