Sembra che si possa passare, calcola la distanza tra due lunghe serie di fili che costituiscono uno dei corridoi a pochi centimetri dai suoi occhi e immagina di infilarci il braccio. Però non si muove. Il movimento si costruisce nitido nella sua testa: la mano è in avanti, stesa con le dita perfettamente allineate, i due lati del polso guardano il filo spinato, avanza piano tenendo l'avambraccio morbido e saldo perché il gomito si distenda progressivamente e permetta al braccio di entrare senza lasciarsi ferire. La parte più difficile è il braccio perché la spalla deve ruotare verso il basso per evitare che il gomito urti il filo spinato e rovini tutto, alteri la posizione e la imprigioni. Non vuole restare imprigionata: le farebbe più male dei graffi profondi che sicuramente le riempirebbero di sangue la pelle, gocciolando sul pavimento chiaro. La schiena dovrebbe piegarsi a destra (immagina di infilare il braccio destro, quello con cui scrive e accarezza e afferra, quello con cui respinge sempre più spesso; è il braccio che tira meglio di boxe, anche se il sinistro è capace di ganci rapidi e inattesi), e i fianchi fare un movimento laterale per aiutarla a concentrarsi sull'unica parte del corpo che richiede l'intera sua attenzione. I piedi sono immobili, ha imparato a sforzare le caviglie quando gareggiava sugli sci e insegnava schettinaggio, i polpacci tonici tremeranno un poco ma ce la faranno a tenerla come vuole stare. Può farlo, lo sa, il cervello ha già costruito tutto e se la analizzassero con una SPECT scoprirebbero che ha attivato le aree del cervello che servono, senza sbagliare. Pensare è fare, per l'ammasso di neuroni e materia inerte che le popola la testa.
Sta ferma. La gente cammina intorno. Il reticolato messo così, come un bosco innocuo e rassicurante, ha il fascino irresistibile del tentativo. E' una sfida. Prima di bloccarsi nella parte più luminosa ha camminato tutto intorno, lungo il perimetro, accelerando e rallentando per controllare l'effetto sulla retina: il filo spinato diventa intreccio di rami secchi oppure morbidi (le spine aguzze sembrano piccole foglie nascenti), blocco nero e compatto, materasso alzato per accoglierla, buio irrimediabile in cui potrebbe perdersi. Dipende da quanta velocità mette nei piedi, quanta libertà lascia alle pupille fregandosene di chi la guarda.
Ha guardato le piccole esplosioni rosse sul pavimento, sono schizzi di sangue eterni ottenuti da vetro plasmato perché sembrino bombe oppure carne che si dilania e sputa fuori vita, ha sentito la gola chiudersi nella stanza piccola con il vecchio letto di ferro e l'appendiabiti a muro con una gruccia rotta e storta. Poi è ritornata qui, al filo spinato che sembra un bosco e non le fa paura. Le viene voglia di lasciarsi cadere avanti, mollare le inibizioni e andare giù in un colpo solo, chiudendo gli occhi: le spine penetreranno poco oppure la risparmieranno, accogliendola sorprese per la sua follia. Se è fortunata non le toglieranno la vista, ma non lo può sapere: lo capirebbe solo dopo. Ma la cosa che più di tutto vuole fare è infilarci il braccio, perché è sicura che riuscirebbe a farlo se ne avesse il coraggio, se sfidasse i giovani guardiani seduti agli angoli a sorvegliarla. Mano, polso, avambraccio e braccio, fino alla spalla: fisserebbe il corridoio che è riuscita a violare e si sentirebbe immune, realizzerebbe dopo che per ritornare indietro dovrebbe programmare di nuovo il gesto, senza lasciarsi prendere dall'enfasi o dalla soddisfazione, piegare il gomito in basso e mandare in alto la mano, perché il piano che passa per il corpo resti verticale. Perfetto e verticale.
Venezia è fuori dalle finestre. E' arrivata verso sera, attraversando ponti piccoli e calli e controllando ogni tanto la carta geografica del suo palmare: ha un punto rosso che lampeggia e dice "E' qui", la usa spesso quando è sicura di non ricordare. E Venezia sorrideva, violata da grandi navi da crociera che la defloravano ma altera nell'assenza di amore. Perché non ha amore, Venezia, e per questo lei la ama. L'assenza di amore è sensuale, la riempie di pace ed eccitazione sottile. Cammina per ore e si perde, cerca i campi dimenticati che risuonano solo dei suoi passi e si ferma, sorride. Potrebbe essere unica e sola, e lontana. Finalmente.
Guarda il filo spinato e immagina il braccio infilato dentro, potrebbe muoversi senza lasciarsi toccare. Ha imparato, adesso.
Scatta una fotografia storta e senza fuoco, immagina di usarla per ricordare. Poi ritorna all'ingresso, e scende la scale. Nel corridoio, nella città, nel respiro con le spine che ormai non la possono sfiorare.
Roma Firenze Venezia. Perche' non c'e' amore a Venezia? Belli i dettagli e l'ossessiva attenzione al movimento.
PS niente da fare, tue repubbliche marinare sbilanciate, Serenissima imbattibile
Scritto da: GF | 08/29/2009 a 00:24
CHE BELLA
quella foto che hai postato,Mariagiovanna! Perdonami ma riesco a concentrarmi solo in quella,per oggi.Un abbraccio da Serenissima...Bianca 2007
Scritto da: BIANCA 2007 | 08/29/2009 a 10:33
Giò. Magnifico.
Scritto da: Lorenza Caravelli | 08/29/2009 a 13:57