Qualcuno lo chiama colpo d'ala, è un modo di dire che mi piace ma raramente uso. Forse per l'abitudine a creare le parole da sola stracciando la retorica, forse perché l'ala deve ancora crescere del tutto. Comunque, il colpo d'ala è ciò che manca a questo pomeriggio infermo di afa e tempo che sgocciola dall'orologio.
Abito in una campagna che non vi susciterà espressioni di giubilo: pochi la conoscono e non rappresenta il miraggio degli intellettuali che si concentrano su un libro da scrivere oppure dei divi del cinema stranieri nel delicato passaggio dell'età in cui il mento diventa doppio e l'occhio spermatico si trasforma in colla. La mia campagna è povera e puzza di vacca, di sterco lasciato cadere da animali distratti che ancora riescono ad andare al pascolo e fieno tirato su con il rastrello da contadini ingobbiti con la camicia di flanella a scacchi rossi e neri. Il sole batte obliquo sull'erba secca e bruciata di un'estate che non ci appartiene: siamo al Nord, troppo per il caldo di questa stagione, anche se qualcuno ha detto che ci dovremo abituare. Questa mattina sono uscita presto per andare al paese e cercare i giornali: come al solito ho incontrato Pio con il suo cane. Ha tirato su le falde del cappello per controllare che fossi proprio io e mormorato un saluto senza grazia, tre dita agitate vicino alla fronte per essere amichevole; ha detto che non è più tempo per il lavoro che ha ereditato da suo nonno, ha fatto bene a mandare il figlio a studiare nella città dove non gli sembra più lo stesso ("me l'hanno cambiato e non mi sono accorto, meglio per lui perché qui altrimenti moriva di fame e fatica") ma almeno glielo tirano su come si deve. "Cosa se ne fa di un padre contadino? Mi viene a trovare ogni tanto ma si vede che non gli piace". Gli ho chiesto se smetterà di fare così caldo, non ne posso più di stare seduta a scrivere con il sudore che mi cola addosso e rovina le magliette con gli aloni sotto le ascelle che puzzano dopo neanche mezza giornata. Ha allargato le braccia e detto: "Chissà", poi ha tirato avanti e fischiato al cane. Perché le chiacchiere sono uno spreco di tempo, e non c'è tempo che si possa perdere su questi pascoli lisci appena inclinati in su fino alle colline dell'ombrellino.
L'ombrellino. Voi non sapete, è giusto spiegare. L'ombrellino è un gruppo di alberi che sta accanto a una cascina, poco lontano dalla casa dove vivo. Un produttore ci viveva, in quella cascina, l'aveva trasformata in una villa con la faccia di pietra e gli spazi tra i sassi scavati con lo scalpellino a mano, e aveva deciso che la nostra terra sarebbe diventata come l'Umbria, come la Toscana: ricchi vestiti da poveri ma con tante firme sui cartellini nascosti dentro gli abiti avrebbero popolato le cascine rimesse a posto e disinfettate a dovere, senza più l'odore delle galline e del minestrone che sta su tutto il giorno. Ma non ce l'ha fatta, poveraccio: sarà stato il cambiamento d'aria, sarà stata la noia ma è ripartito dopo tre mesi scarsi, ha convinto i figli a fare qualche festa il sabato sera nella cascina tanto per non pensare di avere buttato via i soldi poi ha venduto a un farmacista del paese. Sottocosto, roba da fame, dicono, anche se secondo me è il farmacista a mettere in giro la voce perché non gli va di ammettere di essersi fatto ricco con le nostre medicine da ordinare in città.
"Ah, che meraviglia. Bere le uova fresche e il latte appena munto, beata te". Il mio editore ripete sempre le stesse cose. Arriva con la macchina nera station wagon, lascia andare il labrador per fargli fare una corsa e si siede sotto il pergolato: non si capisce come mai, quando arriva ha sempre un paio di pantaloni di velluto a coste e una camicia bianca aperta sul petto, come se fosse in gita con i figli in una baita di montagna; comunque mi ripete questa cosa delle uova fresche e del latte appena munto, e non pensa che qui i contadini certe cose te le vendono, mica sono lì pronti a regalartele. Non mi è mai venuto in mente di entrare in cascina e chiedere un uovo, oppure un mestolo di latte appena munto: mi fanno schifo freschi, se ho fame apro il frigorifero oppure prendo la bicicletta e vado al mercato del giovedì dove al bancone della frutta mi chiamano "la scrittora" e mi offrono sempre una mela rossa. Ma devo stare lì almeno venti minuti e inventare storie, altrimenti niente mela e qualche parola storta detta dietro. Sono suscettibili, qui, appena mostri che hai fretta credono che ti stia dando arie e non ti sorridono più. Per quanto sia possibile sorridere in questa campagna del Nord dove tutti hanno altro da fare. "Allora, cosa scrive la scrittora?", dicono così e aspettano che racconti. Sono rimasti impressionati da un servizio della televisione: sono arrivati camioncini bianchi pieni di gente e macchine e telecamere, mi hanno ripresa in casa, hanno voluto che passeggiassi con una gonna verde e una maglia che non era mia raccontando che l'atmosfera della campagna è il segreto dei miei libri. Contenti loro, a me sembrava più interessante parlare d'altro ma le logiche televisive le conoscono loro; il mio editore con i pantaloni di velluto a coste era contento quindi non c'era niente da dire.
Che caldo. Un bambino piange da qualche parte, deve essere il nipote della Maria che non sta mai zitto quando ha fame e li fa stare in piedi tutti a turno per farsi coccolare. Ha una voce da neonato, credo che non la cambierà mai: sono mesi che va avanti, il tic tac dei tasti del mio computer va al ritmo del suo pianto eterno, non so cosa farei se un giorno lo vedessi uscire con i pantaloni lunghi per andare a scuola. Ormai mi sono abituata.
Ma manca il colpo d'ala. Non so perché, oggi il romanzo non funziona. I due parlano e parlano e si sono perdonati: niente rabbia niente stimolo per il paragrafo, e per il sesso ci vorrebbe che Sergio fosse venuto a trovarmi questa settimana. E' proprio bravo a farmi venire in mente il sesso. Invece niente. Ha da fare, dice, e la fantasia dopo un po' mi passa. Insomma, credo sia meglio alzarsi e accendere la radio. Il bambino continuerà a piangere e io preparerò la cena. L'ala deve ancora crescere, e per il colpo aspetterò domani.
Gigantesco colpo d'ala! Bellissimo. Ma dove e' finito il post sulla cognata?
Scritto da: GF | 09/03/2009 a 20:20
Che bello, Giò
Scritto da: Lorenza Caravelli | 09/03/2009 a 21:29
Chi cazz'e' Sergio????
Scritto da: Just me | 09/03/2009 a 21:37
@GF. Il post sulla cognata dorme con i pesci (come Luca Brasi). Non chiedere perché, era un post fluttuante quindi per definizione fluttuava.
@Lorenza. Grazie cuore mio!
@Just me. Sergio. E allora?
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 09/03/2009 a 22:23
Se non me lo dici brucio la tua Biennale Card
Scritto da: GF | 09/03/2009 a 22:44
No, la Biennale Card no! Ho tolto il post sulla cognata perché volevo dare un nuovo look al blog. Bene così?
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 09/03/2009 a 23:23
No. Bruciata la Biennale Card insieme ai biglietti Orient Express. Vedi a farmi fare da custode dei tuoi tesori?
Scritto da: GF | 09/03/2009 a 23:54
Certo. Probabilissimo che ti affidi i miei tesori.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 09/04/2009 a 12:52
Che incanto l'accostamento con i video di Scarpa e Corona
Scritto da: GF | 09/05/2009 a 00:54
Sono belli, quello di Corona magico.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 09/05/2009 a 10:10