Comodo anche se un po' rigido, il divano mi tiene sospesa tra le ruote di ferro che fanno rumore e corrono. La finestra ampia sfila immobile davanti agli occhi freschi, tuffati nella campagna che si alterna a boschi e riempiti da bolle di piacere e stupefatta solitudine. Sto bene, così. Cammino se ne ho voglia, vado in senso contrario rispetto al treno oppure lo aiuto, graffio piccoli metri nel medesimo verso per arrivare prima.
La coda del treno finisce in niente, come nei film: una porta chiusa, una serratura vecchia perfettamente oliata, potrei aprire con qualche sforzo e saltare, lasciarmi gelare la pelle dal freddo di questo Nord che attraverso con la vista acuta e tagliente. Mi ricorda un altro Nord, il Belgio dove ho vissuto: la sera, il freddo era tanto denso e basso da saldarsi in mano, formava croste sui vetri e dentro l'anima. Hai voglia a grattare via, quando fa così freddo. Uscivo dall'ospedale e mi rifugiavo in macchina, ritornavo a Brussel (è città fiamminga, scrivila bene) oppure seguivo una collega a caso in un bistrot di Leuven, mangiavo cose dal sapore di gesso e una fetta di torta con tanta panna. Poi dormivo nel letto con il piumone, aggrappata a un libro o alla Rai via cavo. E buona notte.
Ho messo in ordine il mio studio, oggi. Mentre pensavo a cose e persone e dolcezze e lenti avvicinamenti che finiranno da qualche parte. Ho sollevato carta e polvere, passato stracci bianchi che diventavano neri, buttato via il passato di lettere e fotografie e diari iniziati e lasciati a mezzo. Non sai quanti diari, quanti. Ho riconosciuto gli anni del buio, della confusione, e mi sono messa a ridere. Indulgente di me, per me. Esisteva, pensa, un quaderno di cartoncino azzurro dove stavo scrivendo una lunga lettera. Per te. Ti dico cose, luoghi, momenti, ti regalo i miei sogni. Nel 2007, ti dico che vorrei andare sull'Orient Express, come ho fatto quel giorno di questo anno, nella casa di Firenze, e tu tenevi gli occhi chiusi e annuivi per finta. Insomma, c'era una lettera-diario e ho riletto parti, ho capito che non li meritavi. Non li meritavi mentre li scrivevo, e questo è squallido. Ho avuto uomini che hanno meritato tutto, anche a distanza di tempo e freddezza e litigi. Tu no. Ho rigirato in mano il quaderno e ho pensato di buttarlo via: il lancio, perfetto, l'ha sbattuto con un rumore che ha spaventato il gatto nel cestino accanto alla scrivania. Poi. Ho creduto che non si butti via niente, non nella scrittura: perché dovrei mandare al macero pezzi di me? Diventeranno altro: storie e romanzi e cose che la gente potrà leggere, se vuole. Mi sono ripresa il quaderno, l'ho accarezzato e impilato insieme ai manoscritti ritrovati o mai perduti.
Che bello, sai. Ho messo nella libreria, il cui rinnovato ordine rende nuova, il manoscritto originale di "Una storia ai delfini". Profumava di felicità e di mare. Sorridevano, quelle pagine coperte di blu e nero in un taccuino grande. L'ho toccato molto, prima di metterlo al proprio posto insieme agli altri, alle altre storie pubblicate oppure in attesa. Mi ha fatto stare ancora meglio, serena e libera. Non so perché.
Di notte, i vagoni sferragliano e ondeggiano. Succede che le onde più forti gettino sul pavimento i libri, i giornali, le borse che Steve avrebbe fissato bene, ma ho tirato giù per cercare cose. Cose. Cose. Si dorme bene, però, anche con i colpi regolari delle ante del piccolo vano del lavandino e con il frastuono delle rotaie, e il volo dei telefoni spenti e scarichi e di tutto ciò che stava sui tavolini e nella reticella. Cade tutto all'improvviso, poi il silenzio ritorna uguale. Immagino un'esplosione, non mi alzo. Lascio che sia. Si sta bene qui. Manca il sesso, ci penso ogni tanto mentre alzo la tendina e guardo la notte. Immagino mani che ancora non ho conosciuto, e un respiro accanto all'orecchio, dentro la bocca, e il sesso. Dentro, piano. Oppure in fretta, dipende. Dipende dalla passione. Ogni tanto il treno fischia due volte, e penso alle storie di Pirandello e Simenon. Banale, potrei dire che il fischio mi rimanda indietro o mi schizza avanti, ma l'hanno già scritto in tanti. E pazienza.
La camera, il mio studio, non è ancora a posto. Ma ci arrivo, vedrai, ci arrivo. Ho buttato via chili di ricordi inutili e dimenticati. Ho eliminato, pulito, spolverato, rinfrescato, riscoperto. Che energia, sai, finalmente la sento tutta: mi brucia le arterie, macina il cuore, fa andare le gambe e tiene su la schiena. Cantavo, perfino, e il gatto si è nascosto sopra l'armadio grande. Narciso nel falso d'autore scuoteva la testa. La musica era tutta nella testa, nei volti che finalmente mi fanno ridere e pensare, mi accettano complessa e libera e impegnativa. Nel tocco delicato di una simpatia che non hai mai nemmeno sfiorato.
C'è un maitre pieno di sè, sull'Orient Express che corre via dalla Repubblica Ceca. Non cito il nome, perché è il tuo, e qualcosa vorrà dire. Racconta di arabi e barche di lusso, viaggi da favola e suite. SI piace, lo vedo, sono contenta per lui. Parla e ascolta poco, indica il cibo e fa portare altri dolci. Mangio, lascio perdere e rilasso le cosce sotto il tavolo. Lancio gli occhi fuori, nel buio in cui distinguo pochissimo, poi li riprendo e fisso la gente, anche se non si fa. C'è una donna con l'ossigeno nel naso, due piccole cannule trasparenti escono discrete dal vestito elegante. Ha una malattia che la ucciderà, non ho bisogno del pettegolezzo del maitre per saperlo, mi basta l'odore della morte che le sento addosso. Mi basta guardarla. Eppure è felice. Otto mesi fa, le avevano detto che sarebbe morta subito, entro quattro settimane, così ha deciso di viaggiare. Orient Express, il suo sogno. Da quel momento continua, scende e sale su ogni Orient Express, sulle rotte che trova. E vive, con il suo ossigeno appeso al collo. Vive. E c'è un'altra donna, bionda: continua a parlare, e ride. Viene dall'Australia, prima di salire sul treno è stata in crociera con un marito che non fa altro che tacere. E' bello, sembra più giovane di lei, questo marito taciturno che probabilmente scambia sms con amiche allegre in Australia. E la moglie, lei chiede al personale di bordo di non renderla nervosa con domande che non sa capire.
Ho accumulato quaderni vuoti e quaderni pieni, nel mio studio spolverato a nuovo. Ho aperto pacchi di fotografie dove mi sono vista grassa, l'estate del 2008 all'isola d'Elba. E non ho visto solo me, lo sai. Mi sono appoggiata al muro per respirare e fumare una sigaretta e ho lasciato gli occhi nei tuoi, così, per gioco. Non ho trovato la luce, ho trovato niente. Evaporata la magia, resta solo uno strato di noia sbigottita. La mano, presa la traiettoria verso il cestino, ha avuto la tentazione di lanciare anche quella, anche la tua fotografia, poi il gomito si è piegato e il cervello ha detto qualcosa. "E' il passato, perché buttarlo?". L'ho infilata in una busta a caso e messa via, non so più dove. Adesso l'ho dimenticato. Ho trovato doppi o tripli libri, copie di copie che ho anche a Firenze. Insomma, forse capisco che è troppo. Ma regalarli è difficile, sai che pochi leggono. Scrivono, ma non leggono, peccato. Magari citano la Woolf o Quasimodo o Manzoni, dopo, oppure raccontano di avere letto Proust, però non sanno più di un Bignami. E scrivono. Beati loro.
A Parigi il treno ha caricato aragoste. Ho camminato con la mia valigia pesante e fuori misura e salutato i camerieri, deviato lo sguardo dalle casse bagnate brulicanti di chele incerottate; le aragoste non mi piacciono: quando le vedo nuotare nella vasca del ristorante vorrei prendere a mani nude e buttarle in mare, e lo farò, sono certa che prima o poi farò anche questo.
Che polvere. Sollevata e tolta. Libri toccati, aperti e annusati, hanno fatto l'amore con me.
Ho ancora mani morbide sulla schiena, sulla lana del poncho e la seta della camicia sulla pelle nuda. E uno smalto viola, sai.
Dormo. E scrivo, domattina, prima di partire. Di nuovo.
Introduci complessità e ti misuri bene, brava
Scritto da: Just me | 10/29/2009 a 23:14
Oh, il respiro libero di MariaGiovanna!
C'e' uomo e uomo, gia' lo dissi cara Amelie, sei la donna che meglio di ogni altra sa tenere in piedi affetti profondi anche dopo l'amore. Purtroppo, capita a tutti di incontrare chi proprio non ce la fa a meritare, e penso che vada bene così (non vorremo farci vedere in giro con un capello tinto in fuoriserie, vero?).
Riordinare il tuo studio? Ma sei innamorata? E' una follia!
Però sono contento: lo stile sta volando e affronta asperità e picchi di esercizio notevoli, la tua verve non solo è ritornata tipica, ma è più intensa e matura. Molto bene, Amelie.
Scritto da: GF | 10/29/2009 a 23:38
Che bello, Giovanna
Scritto da: Lorenza Caravelli | 10/29/2009 a 23:51