Possibile che sia grigia, sempre grigia e densa di gasolio? Si arriva e ci si immerge, si cala in una pozza di fango melmoso e viscido, triste come la morte prolungata e attesa. Desiderata, quasi. Ci si stringe nei vestiti come in una muta, si indossano occhiali e si trattiene il fiato per saltare, se si può. L'impatto è noioso e soffice, un male piccolo ma necessario; il fango torbido si muove appena, scivola addosso e lascia impronte di carezze senza poesia. Carezze che rimangono, se ci fai caso. I palazzi sfilano con la tangenziale al collo, gli alberi di un verde stupito, attonito, si piegano all'aria asfittica di un vento remoto e scialbo.
Milano. A volte chiudo gli occhi quando il treno entra in città, fingo di non vedere la periferia e le strade dove automobili lucide con le righe sui fianchi si affannano ai semafori e tentano di evitare le telecamere. Osservo i volti ignoti nelle case. Li sogno indaffarati dietro a spese che potrebbero evitare, a cene del sabato sera con amici o pizza portata a casa e preparativi per il Natale sotto le insegne ancora buie. Chiudo gli occhi, li riapro e telefono a qualcuno, voci che mi danno la gioia di arrivare. Li ascolto, trovo una ragione per scendere dal treno e cercare un taxi. Arrivo da altri posti, altre città piene di luci e abbracci caldi, e serate lunghe che finiscono in mattine precoci di scrittura e pezzi di illusione. Arrivo, e spalanco le palpebre per cercare amore rosso in teatri grigi.
Non ho patria, non riesco ad averla. Eppure la città tesa e veloce di grigio soffocante assomiglia a una patria, quando vuole. Ci sono pomeriggi tardivi di camminate a gamba tesa, respiro lungo e libero e mostre e libri: mi sento vicina a casa, in quelle ore. Stringo le mani di amici e ascolto, rido. Parlo di ciò che so, non fingo se non conosco: lo fanni tanti, millantano letture e cultura e conoscenza, il prurito che stuzzica le mani contro i guanti è abitudine che ho imparato a dominare.
Milano. E' la città della finzione e dei sorrisi piccoli e civili, dell'entusiasmo trattenuto e del sesso storto, fosco e passionale dietro cortine di pizzo e lampade che basta un pulsante e cambiano colore. Le strade mi guidano nel diluvio di negozi troppo ricchi e vuoti, opportunità nel palmo delle mani e tram lunghi che bloccano gli incroci. Guardo il Duomo e la Galleria, mi succede spesso di cercare tracce delle gite con mio padre: arrivavo dal paese, mi portava in cima alle guglie e guardavamo giù. Credo fossero i mercoledì in cui la scuola finiva presto. Pensavo a come fosse un volo da quelle guglie, la piazza era il mare e il tuffo un desiderio libero di bambina che già odiava le catene. Mi è successo di entrare in Duomo e cercare il parroco del mio paese, che abita là, adesso. L'ho visto in un confessionale e mi sono avvicinata, mi ha riconosciuta da lontano e ha sorriso come ricordavo.
- Non sorridere troppo, sei in chiesa.
Ha detto, ma rideva, e ha messo una mano sulla mia fronte e ascoltato la vita.
Girgio. Possibile che sia sempre così grigia, la città dove ritorno? Un bozzolo di crisalidi che nascono colte e spente, una fornace di opportunità che pochi riescono a capire. Perché dormono, serrano le palpebre per non guardare la fredda nebbia di catrame e i passi sempre rapidi, sempre sulla via più breve per chiudere porte blindate e lasciare fuori il mondo. Si scrive e non si legge, i quadri appesi a pareti uniche sono impegni che arrivano dopo, solo dopo. Sempre dopo. Si va alle mostre per raccontarlo agli altri, si prenotano i posti per evitare la coda, perché ogni confusione è nemica della fretta. Qualcuno evita l'affanno e mi chiede di mandargli il catalogo: basta quello, la mostra è tutta lì; esco dai corridoi dove ho socchiuso gli occhi e mi sono persa di emozione e mi carico di pagine pesanti rilegate a colla che dovrò spedire. "Ma sai, non ho tempo, ho altro da fare. L'anno prossimo, tra sei mesi, nella futura vita". Penso alle mie ore dense di ambulatori e scrittura e voci, volti da tenere insieme e rido, dentro. Quando vorrei piangere. Perché il tempo, se vuoi, lo trovi, si tratta solo di agire di scalpello e non capitolare del tutto. Però. Ci sono i party di Natale, iniziano a novembre e riuniscono tacchi a gamba nuda e pedicure costose a opere pie stringate di salotti vip e calici traboccanti champagne benefico. Si inaugura e chiude, si cena in piedi fumando fuori dalla finestra e si presentano libri ai volti, sempre quelli, che alzano gli occhi dall'ombelico per leggere altre scritture. I taxi aspettano sulle piazze e nelle vie, si lamentano per la crisi e non riducono le tariffe. Qualcuno litiga per il turno, uomini eleganti con la ventiquattrore non cedono il posto e donne alte su tacchi a punta inforcano portiere commentando attese di scarsi, eterni, inaccettabili minuti.
Eppure. Ho visto stazioni e monumenti e gente. Ho altre città, che non sono patria, non sono riuscite a esserlo, ma allargano le braccia quando arrivo. Ho la luce di un sole che piove solo altrove a scintillare le serate di terrazze romane, musei fiorentini che riempiono la giornata e maledizione veneziana di canali nascosti d'amore. Ho vita che scivola nelle dita e gonfia la testa di emozione. Ricca, l'emozione che spinge le mani a scrivere. Riconosco i colori, ho nel naso e nella carne i profumi che mangio senza doverli spiegare.
Milano. C'è stato un tempo in cui ho odiato ritornare. Ho dovuto accorgermi che le parole uscivano fluide e quiete, continue e appassionate; la nebbia, piano, ha avvolto le mie angosce e restituito sorrisi persi, o solo dimenticati. Le storie escono a fiumi voraci nel silenzio, lontane da grovigli di passione e tormento che sono schermi, cumuli di piombo per i passi che sognano leggerezza. Non credo che potrò spiegare dove e come ho scoperto il nucleo di amore che fa della melassa viscida del grigio odiato una coperta morbida cui non rinuncio più: sono le passeggiate da sola nel centro che così bello non è mai stato, gli appuntamenti pieni che riempiono l'agenda di libri, libri e libri, gli amici veri che, nell'anno più tremendo e strano della vita, hanno detto "Perchè non resti qui?". E' il senso dell'appartenere, dettaglio che mancava e ora appare, nitido e tranquillo, in un'assenza di enfasi eccessiva. Che, finalmente, è medicina.
Mi siedo in mezzo a un tram, a volte, e lascio che mi porti dove non so. Corpi sfiorano la mia spalla ferma, case e strade e parchi ordinati con i cespugli e i fiori riempiono la vista. Ascolto parole e le ricordo, le fermo sul taccuino e le mastico a lungo, dopo, nei racconti che non sempre pubblico nel blog. Capisco la vita, e il mio errore. A lungo sono fuggita, e fuggirò ancora, perché le catene che non potevo sopportare erano persone e non città. Stringevo mani e permettevo che fermassero il sogno di un volo solo mio. Non era Milano la melma grigia che sporcava i miei vestiti, e non erano Roma o Firenze o Venezia o Napoli a ripulirmi. Erano voci che creavo e dipingevo con la fantasia, e collocavo dove mi piaceva. Peccato. Sì, peccato. Che per troppi anni abbia avuto paura di ammettere che esistono uomini e donne sbagliati per me, e scelte che non avrei dovuto fare.
Milano. Grigia e fumosa. Sa di gasolio. Ma è la mia coperta calda, adesso. Mi ha insegnato che tradimento, bugia, finzione e crudeltà pensate e agite per opportunismo e soldi, soldi, soldi appartengono agli uomini, non ai palazzi che incombono nella nebbia. Milano, non è patria ma assomiglia a un nido dove scrivere, nella danza di fughe cui non posso rinunciare. E a mani piene offre occasioni che solo gli stupidi non sanno cogliere.
Complimenti. Ma davvero.
Scritto da: Lorenza Caravelli | 11/30/2009 a 17:31
Profondo inchino
Scritto da: Just me | 11/30/2009 a 17:33
Piaciuta, vero, oh mia bela madunina!
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 11/30/2009 a 17:34
splendida e lucidissima analisi!
Scritto da: Alessandra | 11/30/2009 a 18:16
Ora vivo in provincia ma Milano mi è rimasta sulla pelle esattamente come tu la descrivi e mi manca, terribilmente perchè Milano " é "...gli uomini che la popolano sono tutt'altra cosa.
Così è facile capire come chi coglie questo possa innamorarsi anche di un anonimo angolo di strada che appartiene alla più umana città del mondo.
Per chi sa cogliere ovviamente...
Una delle più belle cose che ho letto.
Scritto da: lorenza bonomi | 11/30/2009 a 20:57
Scrittura temprata da studio e sofferenza, vergata da mente lucidissima che mai potra' tacere. Brava, MG, brava.
Scritto da: Just me | 11/30/2009 a 21:42
grazie per i commenti!
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 11/30/2009 a 21:49
Bellissimo. Esattamente l'essenza di Milano negli occhi di una donna colta e raffinata. Che scrittore, ormai. Chapeau (m'informo, m'informo, vedi?).
Scritto da: Luca | 12/01/2009 a 10:13
stu-pen-do
Scritto da: Lauretta | 12/02/2009 a 16:26
grazie!
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 12/02/2009 a 21:08