Fa freddo. Ho le finestre chiuse e la luce bassa, il computer acceso fa versi ogni tanto. Il gatto sulla scrivania gioca con una penna, la fa rotolare fino al bordo ma non la fa cadere. Siedo nel niente che amo, raccolgo impressioni di vita. E ho freddo.
Il maglione di lana giallo stretto addosso, il silenzio e le voci lontane della partita: qualcuno urla, so che agita braccia e sciarpe rosse e nere; sembra una sera calda e soffice di ovatta noiosa. Le carte con il volto di un buddha senza sorriso sparse sulla scrivania, distillo idee rare nella stanchezza di una giornata di parole pesanti. La malattia da togliere dall'anima è il nemico e compagno che ognuna mi porta in dono, lo espone su ferite cicatrizzate fino a fili bianchi invisibili che tolgono pezzi di cuore.
Ho freddo, dicevo. Molto freddo. Sono uscita dalle stanze perfette e dai corridoi dove i miei tacchi facevano rumore e mi sono nascosta nel gazebo dove qualcuno fuma, nascosto. Era buio, una ranocchia saltava e tracciava il cammino: l'ho seguita per un po', avrei voluto toccarla, si è nascosta in una siepe senza avere paura. Due passi sotto il tetto che spiove, il pavimento di legno sembrava vicino a un camino. Ho guardato, senza fumare nè pensare di farlo. Un albero tratteggiato di rami tortuosi e sottili, pochissime foglie appiccicate per ore, giorni, destinate a cadere: vedevo il profilo contro i mattoni lontani illuminati da fari discreti, la silhouette spaccata e assoluta di imperfezioni uniche che avrei potuto coprire di neve o inondare di sole. Un albero, guardavo un albero e c'era pace. Un istante, solo per un istante ho pensato che avresti potuto essere con me, sfiorare la mia spalla con la mano e le labbra con un bacio. Il pensiero è volato, e l'albero, solo quello importava. Stava fermo, respirava solo nella mia consapevolezza. Era il disegno perfetto, la poesia assoluta. L'incanto di una scrittura che potrei solo tentare di avere.
Rami neri flessuosi, ricurvi, sul tronco magro e liscio nell'ombra. L'albero senza foglie stagliato nella notte di quel giardino.
Sono ritornata indietro, poi. Ho salutato amici e chiuso porte. Ho capito che devo rientrare nella me che voglio. E scrivere, quindi.Ho freddo. Ho tanto freddo.
E ' un freddo che conosco molto bene, grazie di questo pezzo nel quale mi sono sentita parte di un dolore universale che qua e là riesco a condividere con la scrittura e qua e là riesco a ritrovare nella tua di scrittura essenziale fotografia della realtà.
Scritto da: lorenza bonomi | 11/25/2009 a 22:33
grazie a te, Lorenza, perché le affinità che intuisco in te sono impressioni fulminee e definitive
pensavo, adesso, a un messaggio che ho ricevuto tempo fa: qualcuno diceva "conoscendoti non puoi essere serena"; al di là del fatto che quell'uomo pochissimo abbia dimostrato di conoscermi sul serio, quel motore sempre acceso che può essere definito irrequieto tormento mi sembra abbastanza simile, tra noi
guardavo quell'albero, stasera, ed ero in pace; avevo la sensazione che fosse impossibile descriverne la bellezza silenziosa contro il buio
Scritto da: MariaGiovanna | 11/25/2009 a 22:51
Spero di riuscire a lasciare il commento stavolta. Questa impressione incantata e magica sospende il tempo e lo taglia, lo stile sempre più ricercato nell'immediatezza di cio' che e' semplice evolve sempre più. Quali mani e labbra hai desiderato per un istante? Sono certo siamo mani e labbra del presente, questo suggerisce l'atmosfera. Sono curioso.
Scritto da: GF | 11/25/2009 a 23:33
Sarei curioso anche io, signor GF. Bellissimo frammento davvero.
Scritto da: Luca | 11/26/2009 a 08:28