Nel vuoto di un treno che corre, con un compagno di viaggio che non mi piace (non so perché, è ingiusto dirlo: non russa, non strepita, non sta ore al telefono, eppure non mi piace), lascio andare le mani sulla tastiera confidando nel silenzio, e l’incipit diventa “cosa ti aspetti da me?”.
Potrebbe non esserci un seguito. Potrei lasciare sospesa la domanda e non entrare nel merito, non attribuirla a un mio moto spontaneo o all’esigenza di un altro, chissà chi, nei miei confronti. Sono io a aspettarmi qualcosa da qualcuno? Sono altri a farlo con me? Nel viaggio scialbo verso Milano non trovo la grinta per riflettere, non ho voglia di ascoltare musica o leggere, ma anche scrivere è difficile. Come se il silenzio necessario per scrivere non sia gravido di parole, questa volta. Una sensazione simile a altre, che forse posso ricordare a voce alta.
Capita che osservi l’allontanamento di amici, e capita che ne soffra: non è piacevole constatare che alcune persone siano ondivaghe abbastanza da infiammarsi di affetto (o amore), poi declinare in una sempre più tiepida pazienza fino a trovare altri fuochi, altri incendi destinati a subire la stessa sorte. Non è piacevole, ma succede con una frequenza piuttosto alta. Uomini o donne, è uguale: ha ragione la mia analista quando dice che dovremmo stabilire il destino di una relazione affettiva osservando il curriculum di chi abbiamo di fronte. Per evitare il solito, banale can can di allusioni a uomini del mistero avvolti da una nuvola di fumo, parliamo di donne. Di amiche. Quando un’amica ti si avviluppa addosso, con molta reciproca soddisfazione, e racconta che la sua amicizia con te ha provocato il dolore di altre donne, altre amiche che si sentono lasciate al margine, invece di essere felice dovresti porti alcune domande. Se è incapace di tenere in piedi più amicizie senza ferirle reciprocamente, cosa farà con me? Dovrebbe esistere una paratia che si alza automaticamente, ti fa vivere la relazione con profonda condivisione ma anche un allarme rosso acceso in un angolo della testa: “attenzione, persona incostante”. Ho avuto la fortuna di accendere i neuroni su questa consapevolezza qualche tempo fa, prefigurando ciò che effettivamente poi accadde. Con la gioia nel cuore, posso dire di essermi salvata: ho assistito rilassata e neanche troppo delusa all’adolescenziale deriva di un’amica mai cresciuta sul serio. E’ solo un esempio, forse non utile. Chissà. Perché l’ho detto? Ah, ecco, sono partita dal silenzio non gravido di parole. Evidentemente non era così: lo era, era gravido e ha avuto bisogno di una valle di sconforto scriptorio per partorire. Ho paragonato il silenzio vuoto a ciò che provo in questi giorni nei confronti di dolori ormai passati, che ogni tanto vogliono rialzare la testa ma si scoprono fuori tempo e luogo, quasi noiosi. Ci sono volti che, richiamati alla memoria grazie a automatismi più longevi del sentimento, in teoria dovrebbero muovermi emozioni, in pratica non riescono a stimolare altro che uno sbadiglio. Che tristezza.
Uno scambio delle ultime ore su Facebook mi ha mosso pensieri desolanti e desolati sulle banalità che si dicono a proposito di amore. Mi considero la prima, sono io a stimolare la più infima banalità: ritorno a casa nel cuore di Roma in piena notte, dopo una sera meravigliosa, e filosofeggio sul social network senza considerare le reazioni. Dovrei trovare gli aggeggi elettronici scarichi, quando mi vengono in mente le frasi che scatenano forum da cioccolatino. Comunque. In uno dei lampi di genio, ho detto che spesso l’amore patologico (eccessivo) per una sola persona oscura, cancella, rovina la presa di coscienza di tanti altri amori, magari meno dirompenti ma drammaticamente importanti. Ho capito però che ogni volta che si sfiora l’argomento “amore” e si critica in qualche modo l’entità del sentimento o si stigmatizzano le sue conseguenze, il coro di chi protesta si leva immediato. L’amore, questo bene assoluto, questa purezza intoccabile, indicibile, non criticabile! L’amore, che muove la penna ai poeti e agli scrittori! Macché, togliamo di mezzo queste banalità che io stessa ho colpevolmente contribuito a alimentare. Non adottiamo assiomi quando si parla di amore, per pietà. Che l’amore sia meraviglioso in alcune sue fasi, è vero. Che la sua assenza regali la sensazione di una parte mancante è altrettanto vero. Ma no, non è vero che tutto ciò che deriva dall’amore sia buono. La distinzione tra amore e “altro” esiste, ma non ci serve. Possiamo dire che non sia amore ciò che è patologico: ce la caviamo ipotizzando che sia vero amore solo ciò che è positivo in ogni propria manifestazione, ma se lo facciamo dobbiamo ammettere di non tenere conto della realtà. La verità concreta del quotidiano. Siamo ormai abituati a confondere con l’amore troppi altri sentimenti, e qualche emozione passeggera: quando la confusione è tanto radicata nel pensiero comune, puntualizzare aiuta pochi. O nessuno. L’amore, ciò che la media della gente intende per amore, può fare male: rovinare famiglie, uccidere la fiducia, diminuire il talento di un artista. Amore, quanto idealismo raccapricciante, in fondo. Leggete, se avete voglia di volare, “Amore R” di Tiziano Scarpa, Einaudi: è la migliore e più originale, realistica rappresentazione dell’amore. A me è successo di leggerlo in un periodo della vita drammatico e destinato a cambiarmi: ho trovato il senso vero, quello che pochi hanno il coraggio di guardare e, ancora meno, di raccontare.
E arriviamo alla scrittura, eccoci lì. La scrittura non ha l’amore come energia di fondo, o meglio: ha l’amore per la scrittura come parziale energia, ma non altro. Non si scrive per amore, non si scrive per dolore. Si scrive perché si è scrittura oppure no. Qualcuno dirà che mi smentisco, in passato ho detto cose diverse. Vero, ma il tempo, lo studio, l’incontro di persone che della scrittura sanno veramente mi ha svelato aspetti di me (della scrittura) meno piacevoli da discutere, ma indubbiamente veri. Ho capito che molte persone non dovrebbero essere pubblicate, perché si può conoscere sintassi e grammatica e mettere giù una storia gradevole senza essere scrittori, ho capito che la scrittura, quella vera, è a sé, non ha relazione con lo stato d’animo e il frangente di vita, non si siede a aspettare quando arrivano le feste di Natale e si devono avere altre priorità (regali amici casa albero addobbati pacchetti: sappiate che casa mia è identica a come potete trovarla in agosto, niente fronzoli che fanno perdere tempo), non dipende dall’amore o dal dolore. Parlo di narrativa, perché la poesia è altro, tanto altro da non entrare in questa digressione da freccia rossa fast in ritardo di venti minuti (il concetto di fast è relativo, come ogni altro concetto). Dovremmo chiedere a Maeba Sciutti, una delle più grandi, che è poesia vera. Lei potrebbe dirci se, in termini poetici, sto delirando.
“Ma la scrittura aiuta nei traumi, nel dolore, nella ripresa dopo una malattia”. Certo, verissimo. La scrittura è tanto assoluta, piena, enorme e stupenda da salvare psiche e vite. Non mi stancherò di favorire, esaltare, incitare scritture reattive di persone che si trovano in frangenti difficili (o drammatici): se la creatività può aiutare, se può lenire, anestetizzare, esprimere, sfogare un grande dolore mi ha al proprio fianco per raggiungere ogni angolo del pianeta e muovere i traumatizzati a una resurrezione. Tuttavia, nel grande mare di scrittori “per reazione” continuerò a operare distinzioni, cercando la perla, l’elemento raro, il talento assoluto, dando per scontato che non tutto sia davvero di valore. Valore scriptorio, non altro valore. La buona notizia però è che, come ogni altro essere, anche la scrittura può cambiare, evolvere e migliorare. Può nascere da un abbozzo informe e farsi opera d’arte. Grazie all’esercizio costante (sì, anche durante le feste natalizie, lasciando al margine i pacchetti da confezionare), alla lettura di altri autori e alla critica, al confronto. E all’apertura della mente. Giorni fa, ero da qualche parte a una certa presentazione. Tra le varie baggianate ho sentito che “la scrittura deve comunicare valori, positività, relazioni solo e sempre basate sull’importanza insostituibile della famiglia, degli affetti veri”, eccetera. No, cara collega alla prima opera: la scrittura è scrittura, non comunica necessariamente e non è etica. E’ come un quadro: bello in sé oppure no. Poi. Se esistono scrittori che sentono il dovere morale di comunicare valori alti (quello della famiglia fa tanto grotta di Betlemme: vero, indiscutibile, ma serve proprio ribadirlo ogni istante nella speranza che diventi assoluto?), meglio così. Che la scrittura incida davvero sul livello culturale di un popolo, che muova le coscienze, che insinui il germe del confronto pacifico e della non violenza! Magari fosse. Sogno che si smetta di vedere il sangue, fingersi inorriditi e, nello stesso momento, suscitare violenza fingendo di essere inconsapevoli del proprio ruolo nella società. Sogno che l’esempio, l’unica cosa che conta al di là delle parole, faccia scattare un’emulazione finalmente intelligente, finalmente vuota di gesti e pensieri di brutale e ignorantissima violenza.
Violenza. Non è solo una statuetta lanciata in faccia a un uomo, qualsiasi uomo, o a un’istituzione (ci si pensa, a questo? Qualunque sia il voto che dai alle elezioni, mio lettore, hai pensato al fatto che in piazza Duomo si è ferita un’istituzione, piaccia o meno? Sai che a me fa impressione che un’istituzione, anche quando non è vicina alle mie idee – e non sai se lo sia o meno, mi rifiuto di dire quali siano, le mie idee politiche, non è rilevante – andrebbe rispettata nell’interesse di tutti, e della pace sociale?). E’ anche il pettegolezzo storto, è la lite per il primo o secondo posto a un premio piazzata sui giornali e non sapientemente sdrammatizzata da chi potrebbe farlo, è la frase idiota detta a una donna (o un uomo) per interrompere una relazione, è il piccolo dispetto di cui, siamo certi, nessuno si accorgerà, che si gonfia invece a dismisura e va a finire in un lago di orrore. Violenza, tutto lì. Che banalità.
Giorni fa ho avuto uno scambio bellissimo di posta con un amico. Non violenza, ecco l’argomento. Grazie, a quell’amico. Con il suo fare schivo e timido, affermazioni perentorie e severe e un sorriso da sciogliermi riesce a scolpire ricordi perfetti. Mi ha ricordato chi sono meglio di quanto abbiano fatto decine di altri, negli ultimi anni. Non violenza, o almeno ci provo. Non taccio più, non misuro e nemmeno peso le frasi con una ritrosia che finora ha solo danneggiato la stima di me, esco libera e a volte troppo sciolta ma rifiuto la violenza, in ogni caso. Che mi si lasci dire, come lascio dire agli altri, ma non si prendano le parole come pretesti per cadere in un modo di vivere che non mi appartiene. Libertà di espressione, niente censura e non violenza. Ecco ciò che sono o tento di essere. Con molti errori, certo.
Cosa ti aspetti da me?
Uffa, non ho affrontato l’argomento. Ho buttato lì la domanda e l’ho lasciata a metà. Abbiate pazienza: sono su un treno, la testa è vuota. Qualcosa accadrà.
BRAVA MARIAGIOVANNA!
Ciò che ci si aspetta NON è mai censura e neppure grotta di Betlemme tramandata dai carillon ma libertà d'essere se stessi nella piega di qualche o molte rughe,in una umanità VERA che accomuna snoda e con bontà sorride abbracciandosi e abbracciando calda nel reciproco sole spartito magari con qualche lacrima per ricordarci che, esposti troppo anche il sole con il Buco dell'Ozono può bruciare lasciando segni d'ustione. Non hai affrontato l'argomento,dici? Eccome se hai detto.LA PERLA RARA NEL "DISTINGUO" DELL'ASSOLUTO VALORE DANDO PER SCONTATO CHE NON TUTTO LO SIA.Un bacio con la punta rossa a un naso che cola,Bianca 2007
Scritto da: Bianca 2007 | 12/17/2009 a 12:38
Mi aspetto da te che sia te stessa, la scrittrice che ormai è una piacevole consuetudine serale e mattutina nelle letture che rendono più intensa la giornata.
E mi aspetto anche che non ti pieghi alla logica della violenza e del pettegolezzo, a ciò che è banale e non ti si confà. Mi aspetto che tu sia sempre sopra le righe in senso positivo, e sopra ogni banale e stupido scribacchiare.
Cioé, che resti come sei e vai avanti così.
Grazie per il consiglio di lettura, ma ormai conosco Tiziano Scarpa grazie a te e concordo che Amore sia una raccolta di racconti geniale.
Scritto da: Luca | 12/17/2009 a 12:57
Cara Bianca, offri sempre una visione del tutto peculiare di ciò che scrivo, e rifletto e mi vedo in uno specchio diverso grazie a te. Vorrei fermarmi su ogni parola del tuo commento, penso lo farò a voce con te. Quell'ustione, però, il sole che scalda troppo e brucia. Lenire il dolore dell'usitone e imparare che il sole, appunto, può bruciare: è forse questo il senso di questo anno.
Luca, grazie. Davvero. E sono felice che la scrittura di Tiziano ti piaccia.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 12/17/2009 a 19:06
E tu, cosa ti aspetti da te stessa? E da me?
Scritto da: Just me | 12/17/2009 a 21:19
sai gà tutto
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 12/18/2009 a 16:34
...E TANTO PER STARE IN TEMA
Da te mi aspetto l'odore della neve dopo che il vento ha raccolto tutte le voci sparse.Ciao e buona serata.Bianca 2007
Scritto da: Bianca 2007 | 01/05/2010 a 21:55
Ciao, Bianca! Aspettavo il commento che non sei riuscita a mettere qui. Ci speravo, anzi.
Un abbraccio.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 01/05/2010 a 23:00