Manda brevi messaggi email e pezzi di musica. Nell'ultimo messaggio, musica di Scarlatti. Ascolto molte volte, spesso è notte quando approfitto del silenzio per perdermi e immaginare. E' bello sapere che esista da qualche parte, lontano oppure vicinissimo, un uomo (il cui volto ho intuito da una fotografia) che suona per me. E spedisce, poi, i pezzi perché li possa ascoltare. Il nascisismo che non mi manca è gratificato, ma non si tratta solo di questo: queste mani misteriose che suonano e mandano messaggi ricostruiscono l'idea, l'impressione, come in un soffio impertinente, di delicatezza e pensiero. Delicatezza, pensiero. E' un'impressione che più volte è mancata, in questi anni recenti di rivoluzione e cambiamento: ho conosciuto uomini capaci di grandi crudeltà e piccineria impagabile, ma ne ho incontrati alcuni densi di tenerezza, e stupore per la bellezza di uno sguardo. Uomini che, a tratti, hanno saputo spiegarmi l'amore. Dico l'ennesimo grazie, in queste righe pubblicate dopo una giornata di viaggio e mare grigio e freddo, a chi mi spedisce la musica: non sono costante nelle risposte, probabilmente deludo le tue aspettative, ma la tua arte è compagnia frequente dei miei silenzi.
Strano come la posta che ricevo si assomigli nel contenuto in base a ciò che pubblico nel blog. O forse non è strano: la lettura provoca reazioni, che sono echi di ciò che nel blog compare e suscita riflessione. O critica. O emozioni. Insomma, alcune donne mi hanno parlato di amore nelle lettere notturne (tutte scritte di notte!) che hanno riempito il mio indirizzo email. Queste lettere, molto belle, hanno raccontato vite a frammenti e posto domande; si sono accavallate alle domande che ho ricevuto venerdì sera a Senigallia, alla presentazione di "Diario di melassa". A Senigallia, CG, una donna che considero amica e sento spesso in Facebook, ha chiesto se creda ancora nell'amore. Se dia fiducia all'amore. Il senso della domanda era questo: nei libri racconto amori mancati, interrotti, tragici, spesso traditi; come posso fidarmi ancora quando amo qualcuno, se la mia visione dell'amore è questa? Più o meno, è ciò che colgo anche nelle lettere recenti delle lettrici: ci si fida ancora dell'amore quando gli eventi hanno portato molto dolore? Confesso che la mia risposta è meno lineare rispetto al passato. L'istinto, fino a qualche tempo fa, mi avrebbe imposto di dire un "sì" convinto, spregiudicato, incosciente, un sì destinato a gettarmi nell'azzardo e nel pericolo con il sorriso sulle labbra. Ma. I tempi sono diversi, e qualcosa dentro è cambiato. Provo a raccontare che cosa.
Perdonate la digressione di vita vissuta, mi serve per calare nel reale parole che potranno sembrare filosofia da niente. In un momento della mia vita, ho amato molto qualcuno. L'ho amato tanto da accettare la consapevolezza che, prima o poi, l'amore sarebbe finito; e ho fatto ancora di più, non l'ho solo amato: mi sono fidata. Ho creduto che, anche nella peggiore delle situazioni, quell'uomo avrebbe rispettato un patto di lealtà da lui stesso proposto nei momenti migliori, e mi avrebbe parlato con tatto e delicatezza di un'eventuale rottura tra noi. In realtà, avevo dimenticato questi dettagli, avevo perfino rimosso la faccia di lui, mi sono ritornati in mente l'altra sera mentre lavoravo alla seconda stesura di un romanzo che al momento riempie le mie ore. Quell'uomo, a un certo punto della nostra storia, incontrò un'altra donna e con lei iniziò una relazione; lo capii dai soliti, squallidi segnali (resterà mirabile un telefono cellulare lanciato di fretta, nel bagno, a un mio incauto presentarmi sulla soglia: chi di voi ha vissuto una cosa del genere può capirmi) e provai a chiedere, ma mi sentii rispondere con una serie di banalità che solo una mente ottenebrata dall'amore avrebbe potuto accettare. La mia mente, ahime. L'ultima volta che lo vidi, preparò ogni cosa alla perfezione: trascorse la notte con me, si fermò a casa mia anche la mattina, poi mi portò a pranzo e aggiunse una passeggiata al mare. Per poi sparire senza spiegazioni e liquidarmi, dopo circa un mese, con l'epica frase (rigorosamente telefonica): "Sei stata una piccola parentesi".
Sei stata una piccola parentesi.
Bene, fine del siparietto autobiografico. Sarebbe inutile, autolesionistico e fuori dal tempo presente soffermarci sul dolore devastante che quelle parole hanno provocato, senza una vera ragione per il suo pronunciarle. Fermiamoci alla frase, vero nucleo di tutto. A Senigallia, venerdì sera, ho tentato di analizzare le motivazioni per cui un uomo, finito l'amore (o l'affetto, o la simpatia, mettetela come vi pare), debba lasciare andare dalle labbra una frase del genere. Gratuita, non necessaria, fonte di dolore tremendo per chi la riceve, definitiva nell'azzerare la stima. Sincerità? No, è una risposta sciocca. Che sia stato sincero o meno, credo che nessuno abbia voglia di farsi ricordare come quell'uomo inevitabilmente è ricordato da me: un povero cretino. Disprezzo? E perché? Perché disprezzare chi ti ha amato, chi tu stesso hai amato? Scarsa educazione? Sì, questo sì, perché una cosa che ho dovuto per forza constatare è che, nonostante un'immagine sociale particolarmente "ricca", quell'uomo non abbia mai dato prova di particolare eleganza. Insomma, che l'amore finisca capita continuamente, ma che si ferisca qualcuno con poche parole buttate fuori così non dovrebbe essere previsto dal manuale del perfetto ex-amante.
Ritorniamo alla fiducia nell'amore, alla voglia di investire in una nuova storia dopo relazioni abbozzate, cadute, sfracellate per varie e più o meno evidenti ragioni. Rispondo a CG e alle lettrici: sì, credo valga la pena comunque di investire e buttarsi, credo che l'amore contenga il mistero della rinascita e della felicità, fuso insieme al dramma e all'imprevedibilità più assoluta. In fondo, dopo il povero cretino ho incontrato un uomo meraviglioso, una specie di miracolo, che ha saputo restituirmi dolcezza e passione senza la necessità di provocare inutile dolore. Però. Se dalla ferita della perdita di qualcuno che amiamo possiamo senza dubbio guarire, la ferita della delusione non rimargina mai completamente. Incredibile a dirsi, non ho ritenuto di dovere perdonare il nuovo amore del povero cretino (aveva il diritto di innamorarsi, come avrà il diritto di disamorarsi dieci, cento, mille volte), ma non potrò fare a meno di ricordarlo come qualcuno che non ha avuto coraggio, e che volontariamente ha provocato un dolore non necessario. Qui, proprio in questo insignificante dettaglio, la fiducia vacilla. E non sono pronta, brillante e schietta come una volta nel rispondere ale domande di CG e di altre lettrici.
Una di loro, una di queste lettrici, pone una domanda in particolare. "L'uomo che mi interessa è sposato, e ha avuto altre amanti in passato. Come posso essere sicura che non tradirà anche me? Dice di non essersi mai trovato tanto bene con una donna, ma devo credergli?". Cara FM, mi chiedo ogni giorno il motivo per cui queste domande vengano poste a me (i miei libri non sono l'esempio limpido dell'esperienza positiva in amore), tuttavia so di avere ragione quando dico che l'uomo che ti interessa tradirà te e qualsiasi altra donna avrà in futuro, e no, non dovresti credergli. E' uno schema: lo ripeti tu e lo ripete lui, come in un copione. Esistono uomini che tengono aperte molte porte e non sanno chiuderle, ne esistono altri che vivono con il bisogno di moglie e amante, e ce ne sono alcuni che, dopo anni di totale infedeltà, provano la strada della relazione serissima: questi ultimi si infilano il paraocchi, tirano dritto finché capita qualcosa che li fa cadere. E dopo la caduta non trovano più la strada. Comunque. Non fidarti del'uomo che ti interessa, ma decidi per te. Sii libera, prendi la vita nelle mani e vai avanti. Chi ha detto che non si debba amare un uomo che, prima o poi, tradisce? Stai attenta però a non farti troppo male, metti te stessa prima di lui. Sempre.
Oh, che impressione. La posta del cuore sta diventando davvero "l'angolo Liala": chissà come sono contenti i miei colleghi che parlano invece di massimi sistemi! Ma cosa volete farci, ho questa fissazione di rispondere a tutti,lo faccio in privato e, qualche volta, anche nel blog. Soprattutto, me ne frego altamente di ciò che pensano i nasini ritorti in su.
Un gentile lettore insiste nel mandarmi email pornografiche con descrizioni dettagliatissime dei nostri improbabili, futuri rapporti sessuali. Grazie anche a Lei, è tenace e fedele in questo autoerotismo comunicativo, ammetto che nell'ultima lettera le fantasie erano meno banali e un tantino migliori delle precedenti, però non riesco proprio a vedere un futuro per me e Lei insieme. E non lo vede neanche Lei, sono certa. Sarà per un'altra vita.
Moltissime lettere riguardano "Diario di melassa". Sono lettere di donne, ma c'è anche qualche uomo, che hanno sofferto o soffrono di "binge eating disorder". Come me. Questi lettori dicono di sentirsi capiti, di leggere nelle poche e scarne pagine del libro la descrizione di ciò che accade davvero, al di là e oltre la retorica di scrittori che tentano di dipingere i disturbi alimentari come malattie poetiche e tormentose con un filo di romantica poesia. Nessuna poesia, il binge eating disorder fa schifo. Mangi tutto, mescolando sapori che non senti e buttando giù senza masticare, rischi di soffocare nella cioccolata mista al prosciutto crudo e maionese, e fai in fretta, sempre più in fretta, ti nascondi anche quando sei sola in casa, poi ti senti il peggio del peggio, lo scarto abietto e inutile dell'umanità, ma non puoi fermarti. Il mondo ti guarda, se ingrassi a dismisura come è capitato a me ti osservano con un punto interrogativo sulla fronte e chiedono "Ma tu che sei così intelligente, perché sei grassa? Basta solo smettere di mangiare".
Basta solo smettere di mangiare.
Altra frase che fa il paio con quella del povero cretino, qualche paragrafo più su. No, che non basta smettere di mangiare; o forse sì, basta quello, ma da soli non si riesce! Perché tutto passa attraverso il cibo, la dolcezza, la voglia di amore, il sesso, la rabbia, la nostalgia, la noia. Il cibo è amore che non c'è, è il tentativo di riempire una voragine nerissima che, fatalmente, non si riempie mai, resta vuota e sempre più grande, nonostante le tonnellate di roba informe, a volte perfino scaduta, che si butta dentro. Il cibo, per chi unisce al disturbo il ricordo di molestie sessuali, è il modo per respigere attenzioni malsane oppure sanissime ma difficili da accettare, è il modo per coccolare se stessi perché le coccole umane non bastano, oppure non si riescono ad accettare. Il cibo è nemesi e priorità assoluta. E questa è una MALATTIA.
Il binge eating disorder è una malattia. Notizia buona per chi ne soffre perché, come è capitato a me, si può chiedere aiuto. Non so se si possa definire guarigione ciò che accade dopo, quando l'aiuto professionale porta a stare meglio: guardate le mie foto in tempi diversi della vita, capirete che il cibo è rimasto una reazione spontanea agli eventi belli e brutti che capitano, però è possibile conoscere se stessi e imparare a salvarsi, a limitare i danni. A fermarsi, là dove per anni non siamo stati capaci di farlo. Ciò che mi auguro è che "Diario di melassa" dica che si può migliorare, e stare molto, molto meglio. Non era nelle mie intenzioni dare un senso al manoscritto: quando scrivo non ho finalità etiche o terapeutiche, metto giù quello che l'istinto e la ragione vogliono, però ho capito, grazie a chi ha letto il libro e ha voluto condividere con me le proprie impressioni, che raccontare qualcosa di sè a volte può fare sentire capiti, incoraggiati. Può fare sentire più leggeri, in tanti sensi.
Concludo con altre lettere, pesanti e dense di dolore. Qua e là, non solo in "Diario di melassa", ho parlato di incesto. E la cosa ha creato rabbia, dolore, empatia, insulti, voglia di confessioni epistolari. Penso che l'incesto sia abnorme, mi succede di accorgermi che tanta gente arrivi al mio blog digitando sui motori di ricerca "racconti erotici in famiglia, con cognate, figli, sorelle, madri". Questo mi rende triste, ma fa anche tanto pensare. Il confine tra incesto e attrazione sessuale casuale, involontaria, caduta addosso senza premeditazione è sottilissimo. Giudicare a priori è sbagliato. Però il problema esiste, e crea sofferenza. L'incesto viene nascosto, ma spesso percepito ugualmente: si sa e non si dice, si fa tutto per coprirlo. Ma, di notte, si controllano i siti che pubblicano racconti e video pornografici per cercare la trasgressione massima: ho visto molti siti del genere, succede spesso che vada a vedere perché in un prossimo romanzo racconterò parte dell'esperienza con queste letture, e ho capito che tuonare con aria pontificale non basta, non è la soluzione. A chi mi ha scritto non ho risposte intelligenti da dare, se non che, forse, la repressione sessuale palpabile di una società che usa internet, ha a disposizione tecnologia da sogno e apparentemente è riuscita a raggiungere il massimo della libertà, sia ancora troppo pesante. Si cerca di trasgredire almeno a parole, o nella lettura, distorcendo il significato di una parte meravigliosa della vita: il sesso. Niente di più naturale, istintivo e appagante del sesso. Eppure, come per il cibo, anche per il sesso esiste il disturbo, l'abbuffata patologica che scompensa e colpisce duro.
A proposito. Qualcuno ha chiesto come mai scriva racconti erotici. Non esiste un motivo che riesca a spiegare. Considero il sesso una realtà stupenda, necessaria, superflua negli atti per chi non desidera o non può viverlo, ma integrata radicalmente nell'essere. Mi piace scriverne, in alcuni momenti. C'è il momento per scrivere il sesso, e il momento in cui il sesso proprio non fa parte della scrittura. Succede che ironizzi descrivendo situazioni eccitanti, al limite del pornografico, oppure che sia serissima e intenzionata a parlare di relazioni che stimolano la mia fantasia. Succede che non trovi motivo per non parlarne, che non veda il male (no, proprio non lo vedo) o la "caduta di stile" (alludo alla lettera di CC): perché il sesso dovrebbe fare cadere lo stile? Lo stile cade se la scrittura è brutta, ma non è certo colpa dell'argomento! Chissà perché, la domanda più frequente è se i miei racconti siano tutti vita vissuta: volete sapere se trascrivo le mie avventure per la gioia dei lettori e per il narcisismo inevitabile di ogni scrittore? Certo, ogni pezzo di scrittura è vita vissuta da qualcuno, e lo scrittore nemmeno lo sa: non racconto la mia vita sessuale (forse) e neanche quella di persone che conosco, racconto situazioni possibili, probabili, realistiche o meno, ma concrete. Da qualche parte, in qualche luogo. Non è importante, per me. E' chiaro che conosca il sesso, ma anche nei racconti erotici, come nel resto delle cose che scrivo, ritengo che la mia vita sia per niente interessante: trovatemi dove vi pare, forse ho fatto ciò che scrivo o forse no, non è questo che davvero conta.
Concludo, ora, davvero. Ritornerò con altre lettere più avanti.
A tutti, tutti voi, un sorriso e un grazie incredulo e felice: ricevere le vostre parole, qualunque sia l'argomento, è una parte del mio essere che regala emozioni importanti. Mi rendete un po' migliore.
In "Diario di melassa" dici che nel tuo disturbo alimentare non si vomita. La scrittura vuota l'anima, libera piu' e meglio, forse e' terapeutica in parte.
Non basta evitare di mangiare, sono sicuro. La frase infelice del povero cretino e' doppiamente sbagliata visto che rivolta a una donna che ha molto sofferto, ci leggo senso di colpa e rabbia per la difficolta' di lasciarti
Scritto da: Creso | 12/06/2009 a 21:54
Potentissima. Sono una delle persone che si sono identificate in Marcella la protagonista del Diario: grazie, mi hai fatta sentire meno isolata e hai suggerito la strada per guarire. Sei molto bella, mi dai speranza
Scritto da: loredana s | 12/06/2009 a 22:45
Creso, che si tratti ciascuno in modo "normale". Ho definito povero cretino, e non mi sono certo divertita a farlo, un uomo che ho amato perché mi ha sottovalutata e non ha saputo usare una comunicazione adatta. Ha creato volontariamente e scioccamente un dolore non necessario. Il dolore inevitabile della perdita non poteva essere risparmiato, quello di un approccio adolescenziale e privo di classe invece avrebbe potuto essere altro. E salvare, a posteriori, un rapporto di stima reciproco. Però è anche vero che se ha scelto quella forma di comunicazione significa che l'ho idealizzato e ho anche idealizzato il suo rispetto per me, che evidentemente non esisteva.
Detto questo, credo che commisurare la comunicazione al grado di sofferenza altrui sia irrealistico e ingiusto. Apprezzo chi con me si comporta come vuole, anche se poi non mi ritengo obbligata a tenermi accanto gente che non sa rispettarmi. Una notevole acquisizione di questo 2009 è stata la scoperta della libertà di dire: "Vattene", e non riaprire porte chiuse.
Loredana, il percorso è durissimo ma vincente, si può davvero stare meglio. Si arriva, qualche volta, a riderci autoironicamente su, con la cautela di chi ha vissuto il buio e afferra la luce non all'improvviso, ma con un viaggio arduo e positivo.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 12/07/2009 a 13:01
"Diario di melassa" e' molto bello, lo stile maturo. Bello questo pezzo, sei sempre piu' tu.
Scritto da: Just me | 12/07/2009 a 20:07
PER MANCANZA DI TEMPO
ho letto solo ora e sempre con un pò di fretta.Inorridita e incredula mi sono soffermata sull'episodio che liquidava un incontro (di relazione,credo)con la cinica laconica frase:"Sei stata una piccola parentesi".Solo un'incapace d'amare per NON essere mai stato nutrito dall'amore poteva giustificare un così crudele vigliacco gesto d'addio.E solo una persona ancora alle prese con la valutazione di sè,del suo valore e della dignità di donna,poteva subirne la volgarità dell'offesa.Auspico con TUTTO IL CUORE un cammino in crescita di un "recupero" pieno e totalea quella donna sicuramente anche lei mal nutrita da amore vero e sincero.Bianca 2007
Scritto da: Bianca 2007 | 12/11/2009 a 15:10
Cara Bianca, quando tento di dire a me stessa che non devo fermarmi alle parole, anche nella serenità attuale (è passato tempo), mi fermo di fronte al "crudele e vigliaccio gesto d'addio". E' stato così. Mi stupisce la sorte dell'amore, a volte. Eventi grandi e traumatici come il tradimento e l'abbandono possono essere, con il tempo, perdonati e trasformati in affetto e amicizia, poche parole squallide e tremende invece no.
Hai ragione, il percorso di ricostruzione è (stato) necessario perché la donna era nutrita da amore non vero.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 12/11/2009 a 19:26
E' amata, molto, adesso
Scritto da: Just me | 12/11/2009 a 20:56