Succede di osservare da lontananze remote, avvolti da una coperta spessa così. La testa immersa nel silenzio, si captano tuoni esplosivi di parole e non ci si scheggia. Non più.
Ero seduta alla mia scrivania, questa mattina, gli occhi persi avanti verso un mobile che sorregge, esibisce raccoglitori di documenti rossi, gialli e blu. Nelle orecchie si trasferivano suoni e rumori, picchiettavano appena il cervello e tiravano avanti senza una meta precisa.
Pensavo. Sentivo addosso, come un solletico caldo, i corpi dei "pazienti" che affollano l'Istituto, li ascoltavo e annusavo, stringevo le loro carni tra le mani ferme ai lati della tastiera del computer. Erano con me, e io con loro, e mi avvolgevano di una presenza impenetrabile.
- Sono loro la mia coperta.
Ho raccontato al niente della stanza vuota.
In fondo a me, ricordi recenti o remoti e volti, scritture meravigliose che hanno fatto male. Ragionamenti veri, ansie e priorità, calcoli e pettegolezzi che qui non attraversano la soglia. Perché non lo possono fare. Bisognerebbe trascorrere una giornata nella contemplazione attenta di questi corridoi affollati di dolore, lo dico spesso (solo con la mente) a tanti che si affannano a odiare e rendere acido il giorno. A tanti che guardano il dito e non la luna, abbandonano emozioni che potrebbero essere lievi per il peso intollerabile della cattiveria. E dell'invidia. E della povertà d'anima. Non uso la voce quando auguro loro di venire qui e guardare, crederebbero che voglia augurare un male assoluto. No, non lo potrei fare: questo che assaggio ogni giorno è impossibile da augurare a chiunque. Vorrei solo che capissero, respirassero la paura e la fiducia, e la concretezza brutale del brusio vivo che questa mattina mi solleticava e avvolgeva in una coperta di piume: dovrebbero sapere, sarebbe giusto, che se scavalchi un limite ti rendi conto all'improvviso di ciò che fa la differenza sul serio.
Per questo il mio dolore è lento, a volte. Sembra sepolto sotto strati di indifferenza che nella realtà non possiedo, ha tempi e modalità di reazione incomprensibili a chi mi crede ovvia. Per questo l'allegria esce come un torrente che pochi riescono a guardare fisso. Nelle cavità risonanti del mio cranio vivo come gli altri, lascio che la nevrosi mi possieda e ho paura, a volte. Poi tocco la scrivania con le mani, associo nomi e cognomi a malattia e guarigione e morte e terrore e il mondo si allontana, diventa l'immagine sullo sfondo. Non ce la faccio a prendermela e neanche a scaricare sacchi di rabbia che mulinano sulle spalle. Saluto gente che se ne va, rispondo a morsi quando so che mi si prende in giro. Ma accetto, perché la coperta di piume delle persone vere, quelle che sanno calcolare i minuti perché sono diventati importanti (e sono vita, in contrasto, vita che strappano alla morte), toglie importanza al nulla.
Scrivere gocce di pensiero. Accade ogni giorno. Che permetta a occhi estranei di leggere invece è molto più raro. Un libro che mi ha fulminata di bellezza ieri, però, mi ha convinta a tirare fuori ciò che finora bruciava su pagine oscure. Si può condividere, in fondo. A patto che si accetti l'incomprensione.
Ciao Maria Giovanna, sono Angela, autrice e curatrice del sito web dedicato a Pier Paolo Pasolini. Mi complimento per il tuo blog e ti ringrazio per i link che hai fatto alle pagine pasoliniane. Oltre a pasolini.net, ora ho anche un blog, "Pagine corsare" che mi auguro tu possa prima o poi visitare. Grazie ancora e un caro saluto.
Angela
Scritto da: Angela | 01/20/2010 a 00:40