Ci sono storie banali da raccontare piano, con la voce che fa fatica a trovare il tono e scivola sul respiro casuale di chi ascolta. Ho letto da qualche parte (nel blog di una scrittrice, credo) che la scrittura non ha motivo, esiste per se stessa e non trova spiegazione. Non so, lascio che siano altri a pensarlo, a me manca il tempo per badare alla filosofia da due soldi. Sapete, se la salute tentenna si impara a rendere relativo il frutto del tormento della fantasia e a badare al concreto. Perfino quando si è scrittori. Ho capito che la vita va rincorsa, e la bellezza afferrata ogni volta che si può. Ho fretta di godere, assaggiare, riempirmi della passione che, rara, capita sulla mia strada. Ho l'ansia di cancellare alcuni errori incuneati nel mio passato. Soprattutto, ho scoperto che no, non rifarei tutto esattamente uguale: lascerei perdere cose e persone, scelte e incontri causali. Altri invece li terrei stretti, come gemme profumate sugli alberi in primavera. La scrittura, insomma, e vado a raccontare.
Ferma, osserva lo schermo e le parole che si sciolgono dalle sue dita ticchettando la tastiera. Ha deciso di scrivere perché vuole ritornare dentro il mondo che si è costruita perché le dia l'essenza e la protegga, deve sputare, fermare il tempo e tirare fuori. Qualcosa. Molto oppure niente, non è sicura. Ma scrive, e sa dove ha voglia di arrivare.
"Ha dentro un esercito di autoanticorpi, sa cosa sono?". Il medico massiccio e famoso dalla parlata toscana le balza nel cervello con l'aggressività che ama. Non è gentile, e lei non vuole che lo sia: le dice cose che le sono necessarie per sopravvivere, evita di caricarla di farmaci che tanto rifiuterebbe di prendere. La ferma quando la strada è troppo sbagliata. Insomma, le piace. Ha annuito, quando le ha chiesto se conoscesse gli autoanticorpi: si era preparata prima, aveva capito che sono anticorpi come gli altri ma rivolti verso il suo corpo, piccolissime e infinitesimali parti di lei scatenate per distruggerla. "Bene, se lo sa allora le è chiaro che questi autoanticorpi possono fare molto male. Perde le gravidanze perché loro bloccano e uccidono il feto, più o meno, e fanno anche altro: per questo ha la malattia alla tiroide, infatti la tiroide non funziona, ha i dolori articolari e...". Ha aspettato senza intervenire, con il luminare toscano non osa aprire bocca. Sorride quando le chiede dei suoi libri, ma lascia che sia lui il più forte, deve esserlo per farla stare bene. "... e possono capitare altre cose perché la malattia è complessa. Ha una malattia autoimmune complessa che può colpire diversi organi, la secchezza dei suoi occhi e delle labbra è evidente". La secchezza degli occhi, della pelle, delle labbra: inchiodata al lettino, seduta nuda davanti a lui, ha pensato alle tonnellate di crema e ai litri di acqua, alle battute delle amiche inconsapevoli sui soldi che spende per idratarsi. Perché da sola non ce la fa. E' andata a leggere qualcosa sulla malattia che prosciuga, quella che gli autoanticorpi scatenano se gira loro di fare così: ha deciso di morire, se succede, se diventa completa, e non pensarci più. Morire o nascondersi, e forse è lo stesso. Il professore ha continuato a parlare. Ha spiegato cose, la memoria ne ha archiviate alcune nei riposti meandri dell'oblio. Sa che erano dolorose, non sa altro. Altre invece sono rimaste in superficie, e una su tutte è chiara: "Deve vivere tranquilla, se uno stress scatena gli autoanticorpi le succede di ricadere nelle malattie che sa, o in malattie nuove". Ha capito. Conosce il problema. Si è svegliata nelle mattine nere con una mascherina rossa a chiazze che accavallava il naso, ha finto di credere che fosse il calore del cuscino. Ma no, che non lo era, la farfalla spiaccicata sulla pelle era là e la guardava, il computer sputava verità e lo stomaco digeriva dolci a raffica per dimenticare. Lupus, il lupo. E ancora. Autoanticorpi, bombe rivolte contro di lei e da lei stessa prodotte. Le è capitato di fermarsi nel centro di una delle città che immagina sue, con un dolore lancinante a impedirle il cammino, le è successo di chiedersi "E adesso come faccio?". Colpi a caso, raffiche sparate a altezza d'uomo, senza segni premonitori.
Colpi a caso, e me li sparo addosso da sola.
"Si ricordi, deve essere egoista. Se permette allo stress di diventare eccessivo scatena la malattia, e non si sa dove gli autoanticorpi colpiscano. Non lo posso sapere a priori, ma i danni a volte sono gravi. E non è solo questo, la malattia va tenuta in silenzio per altre ragioni, altri rischi più o meno connessi. Tumore al seno, e all'utero, si controlli, può succedere". Un anno dopo, è capitato un anno dopo, metà profezia quasi avverata. Con gli occhi spalancati e il fiato a mezzo, ha preso la penna e macinato parole, ha visto manoscritti e copertine e sì e no da editori. Ha infilato le testa nel bozzolo quieto della scrittura, con le parole del luminare toscano a martellarle la mente. "Calma, deve essere egoista e buttare via i problemi. Lei scrive, no? Si nasconda là". E si è nascosta, ha pensato a quando da bambina si tagliava con il bisturi, poi al dopo, a quando mangiava tanto da morire. Contro di sè, sempre contro se stessa. Come gli autoanticorpi che si scatenano se lo stress le disarticola la vita.
Controllo con gli esami del sangue se i proiettili che mi sparo contro dormono o sono scatenati per uccidermi.
Scrive. Ha un mondo di silenzio e uno di emozione. Spacca il sorriso e cerca il corpo dell'uomo che la perde di piacere. E' felice, a volte. Ma le mani, quelle devono ritornare. Spesso. Sempre. Al silenzio denso della scrittura che le dà l'essenza.
Scrive, il sorriso stampato a metà sul volto. E' stata una giornata di emozione, i suoi autoanticorpi dormono di certo. Però. La domanda. "Cosa è la scrittura per te, perché è così importante?". Ha risposto che la scrittura l'ha salvata, ma non ha detto da cosa. E non lo dirà. Si limiterà a lasciare sospese le frasi, tanto non importa. Fissa lo schermo e ci si ferma, tiene le mani sulla tastiera nella solitudine di silenzio che ha voluto. E' questo bozzolo di serenità densa che la solleva dal corpo e dai suoi dolori a rendere la scrittura così importante, funziona meglio delle bustine di antidolorifico che butta giù senza l'acqua, sciogliendole sotto la lingua.
E chissà cosa sia per te, la mia scrittura, amico mio. Intanto, io ho deciso di smettere di spararmi addosso e mirare altrove.
E' giusto, una visione della scrittura trascinata nel reale con un significato profano ma fondamentale
Scritto da: Scriptor | 03/12/2010 a 09:38
Cara signora Luini, leggendo questa storia, sicuramente vera, sono ritornato con la mente a giorni, addietro. Quando ho scritto ad una Sua navigante, che si poteva combattere, ogni tipo di angoscia, solo scrivendo ad un'amico immaginario, pertanto senza ricevere nessuna risposta, se non le sue di considerazioni. La protagonista o attore di questa storia mi piace, per 2 motivi:
1) perchè si sente più forte della stessa malattia e la combatte con armi proprie.
2) perchè la sua forza si spegne davanti a chi veramente può aiutarla senza per questo commiserarLa, il dottore (medico e non persona)
Scritto da: Suo assiduo navigante Luigi | 03/12/2010 a 10:05
Malattia strana e crudele, che va fuori dall'immaginario eppure entra in pieno in ciò che consideriamo frutto di un'autoaggressione. O aggressione altrui, in fondo, perché lo stress provocato dagli altri si trasforma in arma fisica micidiale. La malattia autoimmune che colpisce la protagonista esiste, non è così rara: si compone di tanti disturbi e danni provocati dall'autoimmunità, cioé dai proiettili che il corpo stesso produce contro sè. Ha un significato simbolico profondo, questa malattia, e aspetti crudeli nell'imprevedibilità delle manifestazioni.
In ogni caso, la protagonista solleva il corpo oltre il difetto grazie alla scrittura. Ama quando riesce, prova passioni forti e meravigliose, tremende, ma impara a rifugiarsi nell'assoluto distacco dello scrivere.
Sì, riesce a rinunciare alla propria forza di carattere quando si trova di fronte al medico, abbassa la testa ma non lo sguardo e accetta di essere senza armi. Sente la forza salda del medico e capisce che potrà aiutarla. Dandole un indirizzo, una via da seguire, prima che suggerendo farmaci.
Un punto mi lascia dubbiosa, comunica coraggio e debolezza insieme: la protagonista ammette di essere malata. In un mondo di sani e belli è assai pericoloso.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 03/12/2010 a 10:27
Autoaggressione? Forse, ma la responsabilità altrui e' enorme. Si protegga, questa donna speciale e meravigliosa
Scritto da: GF | 03/12/2010 a 11:43
vede cara MG si forse il mondo attuale, ci induce ad essere fintamente sani/giovani/belli, lei dice che le lascia un dubbio, di come si può coesistere, da malata in un mondo così? La risposta è da trovare dentro di noi, ma conoscere una donna così, amante della vita, ci deve rassicurare, e rafforzare, che sopravvivere ad una forte avversità si può. Infine le vorrei consigliare la visione di un film attinente a questa storia "Sweet november""
Scritto da: Luigi | 03/12/2010 a 16:54
Non entro nel merito della storia che racconti.
Dico solo due parole sulla canzone di Ligabue: è uno dei suoi pezzi che preferisco, così intrisa di sofferenza e di vita, con questo tiro che sa avere certo rock, capace di strapparti le lacrime ma nello stesso momento di farti venir voglia di agire. Non a caso è una canzone che nasce da una vicenda vera. In un'intervista, Luciano raccontò: "Il mio amico Stefano Ronzani si ammalò gravemente e ci fu un momento della sua malattia in cui capii che le lunghissime chiacchierate sul farsi forza, sul darsi speranza, sul combattere in qualche modo il suo male in realtà avevano perso significato... Provai allora a comunicargli questa cosa nella maniera che la fortuna o il caso o qualcuno ha deciso che, tutto sommato, con me funziona: una canzone"
Poi Stefano (che gà aveva perso la moglie e la figlia) morì. E a ricordarlo resta questa canzone.
Scritto da: luciano / idefix | 03/12/2010 a 21:36
Luciano, non conoscevo questa storia.
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 03/13/2010 a 09:39
PER UNA PERSONA
incline naturalmente alla "generosità" l'egoismo è forse una delle cose più difficili da indossare ma...se c'è stato l'esercizio a proteggere l'"essenza" sarà quest'ultima a fornirle il vestito di quel "sano" egoismo perchè nel frattempo la protagonista di questa storia avrà anche compreso che a volte la generostità (eccessiva) nasconde altro,forse solo un'inconscio bisogno di bilanciare necessità negate diventate fame di dolci come di sorrisi. Ma...usando Qoelet il tempo arriva per tutto anche se in ritardo come la primavera di quest'anno che comunque ha già fatto spuntare gemme e qualche fiore gelandolo subito e la protagonista nel frattempo avrà cercato d'imparare anche l'arte segreta della strategia cinese per trionfare in ogni campo della vita quotidiana con l'aiuto di quel toscanaccio saggio e saputo, di Battiato che le ha regalato il libro dei 36 Stratagemmi in un lontano giorno d'estate o di primo autunno quando la pioggia fine cadeva.Bianca 2007
P.S.Sono felicissima per la 2 ediz.del libro "Le parole al buio".Lo meriti e vale come la forza "cavata" dalle tue profondità.Un grande abbraccio generoso ma giusto.
Scritto da: Bianca 2007 | 03/13/2010 a 12:07
Centrato in pieno
Scritto da: GF | 03/13/2010 a 17:40