Dovrei imparare dal gatto Camillo: quando ritorno a casa lo trovo in un sonno placido e innocente tra i cuscini del letto, sotto il copriletto che sembra perfetto, liscio e impeccabile come se non fosse stato spostato. Invece Camillo è sempre lì sotto che dorme: si infila languido e sinuoso tra il margine del copriletto e la testiera, scivola sotto e si nasconde. Per le dormite più immemori e placide che si conoscano. Camillo ha ragione: dovrebbero esistere momenti di scivolamento pigro e silenzioso sotto ripari perfetti che non lasciano impronta. Probabilmente i ripari esistono, il problema è che non tutti sanno vederli; se anche li vedono, rimandano indefinitamente l'istante in cui il ristoro si cerca e la figura si cela per qualche ora alla rapina altrui.
La notte scorsa, verso le due, ho ricevuto un sms. Il mio sonno è molto leggero, è bastato il piccolo pic pic per svegliarmi e darmi una strizzata di angoscia. Ho letto il messaggio e i pensieri sono partiti senza controllo. I miei pensieri partono spesso senza controllo, chi mi conosce lo sa. Comunque, ho messo il telefono di nuovo sul comodino, chiuso gli occhi e dedicato una riflessione lirica a chi non ha minimamente riflettuto sull'opportunità di scrivermi alle due di notte sottolineando un possibile motivo di preoccupazione. Dopo la riflessione ho cercato il sonno. Invano. Non avevo il copriletto sopra la testa, non avevo badato a procurarmelo e, cosa ancora peggiore, avevo lasciato il cellulare troppo vicino e troppo acceso. E' come quando dò retta alle persone che vanno dietro a pensieri neri: so che esistono persone così, so che inevitabilmente i loro discorsi finiscono in imbuti depressivi o ansiogeni, so anche che sono troppo sensibile per considerarmi immune dal contagio nevrotico, eppure non riesco a trattenere la curiosità di incontrarle quando me lo chiedono. Niente copriletto, anche lì, niente pisolo rilassante lontana dagli occhi della gente.
Ho acceso il computer con il respiro di Camillo sotto il copriletto, dopo una doccia fredda e un minuto di occhi chiusi e orecchie vuote. Giornata così. Così, proprio così. Non saprei che altro dire. Esistono argomenti che si possono spalmare in un blog e argomenti che dovrebbero (condizionale d'obbligo) restare nella mente, o nel cicaleccio bello di pochi. Insomma, lavorare nell'ambiente oncologico può portare giornate così, per tante ragioni: ciò che si vede, ciò che si soffre, ciò che si osserva increduli scuotendo la testa. O un misto di tutto, variamente shakerato. A volte capita di riflettere sulle priorità che cambiano all'improvviso di fronte alla malattia: come è vero, davanti agli occhi balena la fine possibile e la testa si ribalta, l'elenco di ciò che importa è stravolto in pochi attimi. Poi. La vita cammina, e non sempre la rivoluzione delle priorità resta quella dell'emergenza: si ricomincia ad arrabbiarsi per il banale, per le diatribe tra colleghi, per l'amante che non risponde a sms erotici, per piccoli grandi torti che immaginiamo di subire. Ci si arrabbia per il parere di un agente letterario, per esempio (un giorno pubblicherò un'analisi genetica degli agenti letterari: hanno proprio un DNA a parte), oppure si riesce a ridere per una critica perché di fronte si ha una donna di venticinque anni cui è stato diagnosticato un tumore e allora, lasciate che ve lo dica, dell'agente letterario non frega assolutamente niente. Come ondeggiano i nostri valori, come ci si sente forti o deboli, belli o brutti, vincenti o sfigati e in balia del vento! Forse andiamo a giorni, o, al massimo, a settimane: umore, ormoni, eventi, sensazioni, un ottimo polpettone di eccellenti motori spinti al massimo. Fino all'incoerenza. O alla mutevolezza, che incoerenza non è, solo accettazione del tempo che scorre e porta via.
Vi succede di sentirvi sbranati? Tagliati a pezzi slabbrati e dolorosi, abusati, rapiti, defraudati della dignità e del minimo spazio vitale? A me capita, e a niente valgono gli insegnamenti remoti delle suore: non sono felice a priori e grata per il cinguettio degli uccellini, ho imparato a ammettere in modo salutare che alcune cose no, proprio non mi piacciono. E non le accetto. Vedo tanto di più la bellezza dell'amore, vedo la gioia, vedo la fortuna quando c'è: vedo anche che ogni giorno, perfino quello che sarà ricordato come il peggiore, è sempre un'alchimia di bello e brutto. Poche cose apprendo nella retorica, ma una vale: la vita offre e toglie nello stesso momento, sempre. Mai tentare un bilancio, ma guardare con occhi puliti sì. E ammettere che insieme all'orrore c'è anche anche la luce, e viceversa.
Ho già detto che dovrei fare il predicatore. In un'altra vita ci penserò su. Ho visto lo spazio bianco nel blog e avuto voglia di scrivere, di parlarvi senza la metafora dei racconti rischiando di annoiare. Chi si annoia ha già smesso di leggere, quindi non mi preoccupo. Davanti ho la foto di mia nipote che mi augura buon compleanno: questo è bello. Nella testa ho una donna che oggi ha avuto un trauma terribile e non ho potuto fare altro che starle accanto: questo è brutto. Domani sarò con Nicoletta Carbone a radio24: questo è bello. Ho avuto l'ennesima discussione apparentemente utile ma di fatto complicata con un agente letterario: questo è brutto. Esistono persone che stimavo e mi hanno deluso, e anche persone false: questo è brutto. Ho intorno a me persone che mi amano, riamate: questo è molto bello. Ho in programma tante presentazioni di "Diario di melassa": questo è bello. Ho persone care in serissima difficoltà economica: questo è tanto brutto. Potrei andare avanti, e anche voi: sono sicura che abbiate seguito la mia cantilena e sostituito i miei piccoli dettagli con i vostri. La mia vita con la vostra. L'altalena del bello e brutto prosegue per tutti.
C'è una madre che oggi avrei voluto consolare o addormentare perché non sapesse e non vedesse, una donna cui voglio bene. C'è una figlia che ho visto diventare donna, con fiducia e energia mi ha accanto in un periodo difficile. Ma c'è anche la mia libertà, sapete? E la libertà adesso dice che per questa madre e questa figlia, e per il padre ovviamente, sono veramente incazzata. L'amore per loro e la sensazione che alcuni eventi siano contro natura mi fanno piangere e arrabbiare. Quando tolgo il camice e lascio la faccia di gomma della sicurezza appesa all'attaccapanni mi inferocisco per l'ingiustizia del caso e della malattia. Le suore non sarebbero d'accordo.
Ho voglia di un film vecchio, scontato e senza impegno, oppure di un copriletto impeccabile che mi nasconda la testa. C'è un nucleo di felicità inspiegabile che brucia dentro, non è coperto del tutto dal mutismo calato su di me appena entrata in casa. Ma come, un attimo fa ero arrabbiata e ora parlo di felicità? Sono arrabbiata e triste, lo sono tanto, eppure percepisco il soffio sottile di un'energia che posso chiamare vita e, senza capire il motivo, felicità. Attribuite l'insensatezza delle parole a un deperimento precoce dei miei neuroni o al tormento sconclusionato dell'artista, affari vostri e non miei. Io mi sono chiara, finalmente. Se dovessi raccontare a una ventenne il vantaggio dei quarant'anni in incipit che sto vivendo forse direi che ci metto meno tempo a eliminare la zavorra e vedo una strada per affrontare anche i problemi più grossi (magari la immagino, magari non è reale, ma la vedo, e mi ci aggrappo). Chissà.
Au revoir, vado a disturbare il gatto Camillo.
Brava, grande Giovanna. Fatti vedere finalmente, la potenza del tuo essere e della scrittura esposti agli occhi e all'invidia, ma anche al genuino amore. Via la zavorra! Colpisci e sii tu.
Scritto da: Lei | 03/03/2010 a 22:34
"SENZA SENSO"
E COL SENNO DEL POI MI SENTO QUEL CIUCO POSTATO MA INVECE SON "GATTA" E CON CAMILLO AMOREGGIO E FO' FUSA.
Un primo bacio e che TUO sia quale dono sincero d'augurio felice.Bianca 2007
Scritto da: Bianca 2007 | 03/04/2010 a 10:18
Baci a Bianca e a Lei
Scritto da: MariaGiovanna Luini | 03/04/2010 a 19:09