racconti, fiabe, romanzi a puntate, pensieri e pezzi di parole
(i testi pubblicati in questo blog e le fotografie sono di esclusiva proprietà dell'Autrice)
AAVV: RAC-CORTI - Il chiama angeli Il mio racconto "Il chiama angeli" nell'antologia RAC-CORTI di Giulio Perrone Editore 2008
AAVV: EROS & AMORE - La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila Il mio racconto "La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila" nella sezione EROS di "Eros & Amore" di ArpaNet, 2008
"I racconti delle bacche rosse": Lampi di Stampa Editore, I Platani Narrativa, 2008 Il secondo libro di fiabe
AAVV: CONCEPTS PROFUMO - La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane Il mio racconto "La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane" nella raccolta "CONCEPTS Profumo", Edizioni Arpanet 2007.
"Una storia ai delfini": Edizioni Creativa, 2007 il mio primo romanzo
AAVV: CONCEPTS MODA - La donna vestita di fiori Il mio racconto "La donna vestita di fiori" nella raccolta "CONCEPTS MODA", Edizioni ARPANet 2007
Luciano Comida Ho la fortuna di amare e di essere amato: faccio lo scrittore, il giornalista, l'impiegato statale, leggo, ascolto rock e jazz e classica, guardo cinema e teatro, tifo Toro, sono valdese.
Michele Crismani Ho tredici anni, non mi piace tanto la scuola (anzi proprio per niente). Invece mi piacciono le ragazze, il calcio, il rock (sia ascoltarlo che suonarlo), i film, mangiare patatine fritte di sacchetto, bere coca-cola e tirare dei rutti che scandalizzano mio papà e mia mamma.
Calogero Miceli poeta, presepista, scrittore e sceneggiatore emergente. Prova a fare anche lo studente in scienze della comunicazione. Vivo ogni giorno intensamente perchè considero la vita un grande dono e perchè in essa ho ricevuto il dono della poesia.
Cantastorie errante ...ogni cosa è intorno al nostro essere, sta a noi saperla vedere ed appropriarsene per donarla agli altri
Fa un po' impressione. Sto cercando frasi adatte e non le trovo. Questo blog è la storia del mio rapporto con i lettori, è stato l'inizio della parte della mia scrittura condivisa con la gente. Mi ha portato i primi contatti con gli editori e relazioni umane che vanno oltre e al di là dei libri. E' più di uno spazio, più di un giornale online: è luogo di scambio, scoperta e discussione continua. E adesso trasloca. Nella rivoluzione dei quarant'anni e della vita, metto in valigia quattro cose e parto.
Da oggi, niente più post in questo blog: con i miei racconti, con i pezzi di parole e i libri, e le fotografie, vado nel nuovo sito internet. Proseguo il cammino là, questo è l'indirizzo:
Vi aspetto nel sito internet, quindi, basta fare click e memorizzare quell'indirizzo: pubblicherò là, nella sezione blog, tutto ciò che di nuovo mi verrà da scrivere, e potrete lasciare commenti esattamente come avete fatto qui.
Lasciare andare le mani, è questo il senso. Abbandonarsi alla scrittura e decollare, lasciando indietro ciò che non ha relazione. Ciò che non è, in effetti, perché l'altro dalla scrittura non ha consistenza, la assume negli spazi liberi, nei vuoti silenziosi che altrimenti rischierebbero di implodere nel buco nero dell'inedia. Scrittura oppure niente, e il niente da riempire. Ho ascoltato brani a decine: lunghi, brevi, con l'audio storto oppure gestiti da professionisti della comunicazione. Scrittori a me simili e da me distanti hanno spiegato cosa sia per loro la scrittura. Li ho sentiti e decifrati nelle lingue diverse che sono riuscita a possedere, ho interiorizzato e paragonato a me personalità opposte e scritture aliene. Oppure aspirazioni comuni come quella casa nella campagna francese che avrei voluto insieme alla quiete, e ai libri, e al sorriso pacato e radioso di tortuosa consapevolezza. Di chi, sta a voi scoprirlo: la Rete è piena di bellissime interviste che spero non vorrete perdere.
Cosa è la scrittura, ecco la domanda che non può mancare: arriva a ogni incontro con i lettori, nelle interviste, nei discorsi da bar (non vado al bar, ma lo immagino) o con gli amici al ristorante. Qualcuno non chiede, tenta di ipotizzare poi si corregge nell'esitazione imbarazzata inevitabile del mio sguardo stentoreo: "La tua passione per la scrittura", "Il talento", "L'hobby", "Il bisogno". Non c'è bisogno che dica che passione e hobby ricevono sputi metaforici che a stento evitano di concretizzarsi in gesti carnali; l'istinto, il bisogno e ogni altro azzardo si perdonano di più, ma sono "uno" e non centrano l'obiettivo. Uno, non la molteplicità frammentaria e condensata in mistero segreto che è per me. Bisognerebbe evitare di chiedere, oppure tacere sulle ipotesi. Cosa importa cosa sia la scrittura per me? Quale significato ha interpretare le mie mani che scivolano sulla tastiera o sui taccuini, la testa impastata a una storia, ossessionata da un finale che manca, tormentata dall'incipit che deve essere perfetto? Nessuno chiede a un usignolo perché canta. Forse perché l'usignolo non saprebbe rispondere, o riderebbe mascherando l'ilarità con un gorgheggio apparentemente stolido.
Cosa sia la scrittura per me è affare che non riguarda il mondo, e non riguarda me. Perché non me lo chiedo, esiste e basta. Sono la mia scrittura, qualunque cosa significhi. Mi vengono in mente le critiche, di solito mascherate da pseudonimi o anonimato (chissà poi perché), e le so, adesso, rinforzate dalle mie parole: "Sono la mia scrittura", evidenza becera per alcuni, sorprendente per altri, assoluta per me. Eppure, se ritorno con la memoria a mesi, anni fa capisco che la scrittura è metamorfosi plastica e incagliata nelle pieghe necessarie dell'anima: non direi adesso ciò che ho creato prima, non confido solo nell'istinto e nell'immediatezza delle frasi fluenti, credo alla tecnica e all'autocritica, non accetto che chiunque possa dirsi scrittore. Ho perso la democrazia e il buonismo, forse per effetto dell'età oppure perché ho visto pubblicare opere raccapriccianti che hanno occupato indegne uno spazio tolto ad altri. Lo spazio di un'uscita che avrebbe potuto cambiare la storia, e il modo di pensare, e il piacere di chi sa cosa significhi leggere. Leggere, a proposito. La connessione tra scrittura e lettura non vede d'accordo i più. Il talento è talento, si può scrivere senza leggere: non lo dico io, non mi sognerei di farlo. Credo al DNA che ci determina e, con le associazioni casuali delle basi azotate, decide se io sappia scrivere o no, quindi posso ammettere che si possa scrivere senza amare la lettura, ma la mia limitatezza di quarantenne arrivata dalla Brianza fatica a immaginare che si possa essere scrittori e non leggere le opere altrui. Che retorica, sono partita da A e non arrivo a Z. Sono arrivata al solito pistolotto sulla lettura, penso che a breve arriverò all'esortazione ai giovani e mi alzerò in piedi sulla sedia, caracollando sulle ruote che non stanno ferme. Perdonate voi che leggete, e chi si è fermato dopo le prime righe perché ha capito che non è un racconto lieve e nemmeno un'allusione erotica non ha il problema di riflettere e digrignare i denti.
Scrivere cambia la vita. La vita cambia lo scrivere. Parole e versi, facce sbattute nella telecamera ammiccanti e senza sorriso (avete notato che gli scrittori raramente sorridono? Me l'ha detto anche un bambino, un paio di anni fa, a un incontro con i lettori: non sono uno scrittore vero perché sorrido troppo), musichette di apertura e chiusura di clip che su YouTube vanno a mille. Ognuno di noi tenta, prima o poi, di produrre il proprio video in cui regala la scienza esatta sulla scrittura. Perché scrivo? Aspetta che te lo dico, stai fermo un istante che mi immortalo nel video o in questo blog e sputo fuori parole che potrai regalare agli amici o citare nelle diapositive sulla creatività. Già che ci sono, ti racconto perché Picasso dipingeva, o perché lo faceva Monet: pensa che bomba. Scopriamo l'essenza della creazione, l'essenza di ciò che è arte. Peccato che la creazione non si dica. La creazione è.
Le mani scivolano bestiali e fluide, la tastiera rende eterno il pensiero affastellato che tiro fuori per voi. Sto scrivendo, sto raccontando, sto facendo la stessa cosa senza l'ausilio del video: nella sequenza delle frasi viene fuori la scrittura, e cosa penso. Cosa sia la scrittura per me, questo vedete se vi concentrate e se avete avuto il coraggio di arrivare fino qui. Chissà quanti siete: mi piacerebbe proseguire a lungo, con ragionamenti che portano lontano, per il gusto torbido di trascinare con me i più motivati, gli annoiati o i pazzi. Non so se lo farò, il motore della scrittura in questi pezzi di non-narrativa, non-saggistica, non-qualcosa è imprevedibile. Si accende, parte e non si sa quando finisca il carburante. Scopro sillaba dopo sillaba di avere qualcosa da dire, si materializzano concetti discutibili o aleatori su uno sfondo bianco niveo sporcato da caratteri neri tozzi che, al termine, ridurrò a dimensione 14. Scrivere, questa bestia agognata e temuta, questo obbrobrio da criticare perché pericoloso, o stimare se ci solletica l'amore di noi. Tu che mi guardi, vuoi che racconti di te o taccia? Vivi nella paura che prima o poi mi scappi un'allusione oppure sogni di diventare il protagonista di una storia tutta sesso, forza e crudeltà? Scrivere: lo fanno tanti, troppi, e troppi si illudono che sia letteratura. Mi illudo, io? Taccio, ma non per pudore: semplicemente, non lo so. Non sono io a doverlo dire, non mi pongo il problema, non adesso e non qui. Me lo pongo, credetemi, in altre sedi con un tormento dentro grosso come la morte. Perché la responsabilità dei vostri occhi addosso pesa sulle spalle, è piacevole e tremenda. Non credete a chi dice che scrive per se stesso, ma poi pubblica: l'atto in sé, la scrittura è autoerotismo puro, anzi più dell'autoerotismo, è piacere impossibile da riprodurre in altro modo, ma l'intenzione nello scrittore è sempre parcellizzata e ricomposta in miliardi di immaginari. E l'immaginario dello scrivere solo per sè è improbabile. Dopo un po', si impara a intuire il guizzo, la natura, la qualità dell'istante: ci sono scritture che sono davvero per sè, nascono e si sviluppano in un certo modo, con un sentire peculiare, e scritture che da qualche parte andranno, e riempiranno pupille e mani tese per afferrare la carta e la copertina e l'inchiostro impresso. Si sa che i pezzi che escono avranno un bersaglio, un lettore o mille.
Di recente, voglio raccontarvi, uno scrittore amico ha suggerito alcune cose che mi hanno spinta a riflessioni oltre. E oltre. E oltre. La verità esce nitida dalla foschia e sembra tanto semplice da assomigliare all'ovvio, ma mi succede di avere bisogno di una mano altrui che tolga il velo. Insomma, si parlava di critiche e della definizione di "scrittrice bulimica", definizione che in fondo non può offendermi perché ho dichiarato in "Diario di melassa" di avere sofferto di binge eating disorder (altro che bulimia!). Chi mi chiama bulimica lo fa per alludere al quanto, cioé al numero di libri e racconti e pezzi sul blog, e l'accezione è negativa. Insomma, qualunque sia l'intenzione non ha importanza: c'è chi scrive stitico, cioé pochissimo e con fatica (avrei nomi di scrittori notissimo ed eccellenti), chi scrive normale (non mi vengono in mente nomi, o forse uno sì) e chi scrive bulimico. Come me. Accettare lo stato dell'essere è saggezza ma anche passività pericolosa, quindi la bulimia scriptoria mi ha chiesto la riflessione. Sono proprio sicura sicura sicura che niente si possa fare? Che sia giusto così? Sono certa di rinunciare a un periodo sabbatico che forse potrebbe rivelarmi pezzi che ancora mancano? Ho sconfitto il binge eating disorder perché era malattia, perché non concentrare lo sguardo sull'eccesso delle mani che corrono sul foglio o sulla tastiera? Lascio sospeso il dubbio, che non mi tormenta proprio per niente ma che, come tutti i dubbi essenziali, da qualche parte mi porterà.L'amico scrittore ha squarciato un velo, nei miei neuroni cala il silenzio della gratitudine e di una corazzata da quattro colpita e affondata, come nella battaglia navale che mi piaceva nelle ore di ginnastica o religione.
Poco prima di iniziare questo delirio ho salutato via email Gianluca Ferrara, il mio editore Creativa. Si parlava de "Le parole del buio", esaurito, e di una possibile ristampa. Oggi, proprio "Le parole del buio" è stato il regalo che, insieme alla mimosa, le donne di Novellara hanno ricevuto dal Comune. Che vita misteriosa, i libri, imprevedibile e stupenda. Oppure squallida e triste, potremmo dire, per alcuni. Viaggiano, si fermano e perdono il fiato, poi qualcosa, un canto leggero in fondo alla foresta, li tira fuori. E, come un vento allegro e dispettoso, pungono la faccia con energia nuova.
La scrittura, che mistero irrisolto, ameno per me, che arma pericolosa e stupida e micidiale, che sollievo e piacere e buiolucebuioluce. Che essenza indistinguibile dal mistero.
sarò in diretta con Nicoletta Carbone a "Essere e Benessere", su RADIO24.
Parleremo di "Diario di melassa" e di cibo: quale rapporto abbiamo con il cibo? Cosa rappresenta per noi? Potete proporre argomenti e riflessioni in tema inviando un messaggio email a [email protected], oppure lasciando commenti nella pagina Facebook dell'evento.
Un'altra notizia per me bellissima è che Sara Caminati e Innovation Marketing hanno creato per me un sito totalmente rinnovato. Li ringrazio di cuore e vi invito a vedere:
L'intervista di MariaGiovanna Luini a Tiziano Scarpa, vincitore del Premio Strega 2009 con il romanzo “Stabat Mater”, pubblicata sulla rivista Gender.
Lo scrittore si confronta con gli aspetti psicologici necessari per descrivere la personalità di un’adolescente, la tecnica con cui scrive le proprie opere, la possibile differenza tra scrittura maschile e femminile, il potere terapeutico della creatività dopo un trauma o una malattia, i consigli letterari e - perché no - con il seno femminile.
Nel 2009 ha vinto il prestigioso Premio Strega con il romanzo “Stabat Mater” (Einaudi), ma nel curriculum ha tanti libri unici e indimenticabili (cito per tutto “Kamikaze d’Occidente”, Rizzoli): è scrittore, poeta, autore teatrale. Soprattutto, e questo forse dai libri può non apparire immediatamente evidente, è un uomo di profondissima comprensione dell’anima.
CARA MARIAGIOVANNA, ieri sera il vicino mi ha consegnato il tuo terzo romanzo (?) "Diario di Melassa.Anche se tardissimo l'ho letto in un respira-butta fuori l'aria.Brava! Oltre a un'evidente evoluzione stilistica,affronti temi importantissimi su cui riflettere.Hai trovato il giusto distacco per guardarli in faccia con criticità e umana pietas.E non ti è mancato il coraggio per ammettere realtà colpevoli per superficiale responsabilità voluta o restata a metà del cammino per oscuri meccanismi di difesa (?) o di demoni mai veramente visti e tenuti a bada.Un grande impatto emotivo è ciò a cui io sono stata avvolta prima di addormentarmi (finalmente) appagata dall'ammirazione per te e per una Donna che ha trovato la fierezza della DIGNITA' che non sbraita ma dice.Auguri.Con "questo" aiuterai molte/i a uscire dal guscio e a NON avere paura di dire attraverso l'elaborazione difficile e dura del dolore trovando il "nuovo" pieno di sè l'orgoglio per non essersi arresi.Ti abbraccio. Mirka Bonomi
“…la parola scritta … era dentro di me, un bisogno che avevo afferrato prima di ogni altro …” (p. 23)
DIARIO DI MELASSA è un singhiozzo sedato.
Privo di odio, privo di rabbia.
Come tutti i singhiozzi, i singulti, i conati si placa nell’espressione di se stesso.
Nella propria verbalizzazione.
Silvia Delaj
"QUESTO romanzo, e lo scrivo in maiuscolo, l'ho sentito veramente MIO. Spiego meglio: è graffiante perchè tratta di problemi che sono radicati nella nostra società.......pedofilia ,tradimento,ansia di essere (per gli altri )quello che non siamo, bulimia e anoressia.....apparenza,indifferenza delle persone e l'inevitabile chiusura degli "occhi"perchè è molto più comodo non vedere il malessere di chi ci è accanto. FAME, tutti noi abbiamo fame di qualche cosa, ma di cosa esattamente? C'è chi ha FAME d'amore,FAME di solitudine ,FAME di sesso,FAME di sapere,FAME di ricordi,FAME di abbracci,FAME d'amicizia, FAME di gioia,FAME di autodistruzione e anche FAME di vita....... sì ,io ,ad esempio ho una FAME furiosa di VITA,la sbranerei in un sol boccone se solo sapessi e avessi la certezza che così facendo la ingloberei dentro di me per non farmi mai e poi mai abbandonare......rendendola mia prigioniera... Riesce sempre a smuovere l'anima,e ora non riesco a placarla ma anche questo è vivere......
Domani avrò l'onore di accompagnare il Professor Umberto Veronesi a Roma, per ritirare la Menzione speciale alla “cultura del fare” al Premio Pimby (Please-In-My-BackYard) 2009.Di seguito potrete leggere la news completa.
Mercoledì 18 novembre 2009, in occasione del Premio Pimby, che sarà consegnato a Roma presso il Palazzo delle Esposizioni, il Professor Umberto Veronesi, in qualità di Direttore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, riceverà la Menzione speciale alla “cultura del fare”.
Il riconoscimento gli sarà conferito per il suo impegno nel perseguire lo sviluppo e l'applicazione di ricerche capaci di migliorare le condizioni di vita attraverso l'utilizzo di tecnologie innovative, nel campo della salute, dell'ambiente, dell'agricoltura e dell'energia, promuovendo la fiducia nella ricerca scientifica e nei suoi risultati, nell'analisi imparziale delle diverse alternative, contro ogni lettura superficiale e demagogica.
Il Premio Pimby, che da sempre ha lo scopo di valorizzare quelle amministrazioni locali che hanno scelto di realizzare opere coniugando il rispetto delle regole con il consenso dei cittadini, riunirà anche quest’anno oltre 200 esponenti delle alte sfere istituzionali, del Governo e delle Autorità indipendenti, personalità provenienti dal mondo della politica e delle associazioni di categoria, il comitato scientifico dell’Associazione Pimby, i media nazionali e i rappresentanti della business community dei settori infrastrutture/energia/ambiente.
Per scaricare il comunicato stampa in formato word clicca qui
Per informazioni:
Elisabetta Mandelli
Email: [email protected] Tel: 345.46.73.880
Certo. Diventare burrasca. Sciogliersi nel vento che piega gli alberi e strappa, striglia, mastica le foglie ancora verdi e sposta le auto al centro della strada. Mi piacciono le burrasche, anche se trovarsi nel mezzo della ribellione assoluta del cielo e del mare, delle rocce di montagne pronte a rotolare a valle, di tronchi d'albero che si inclinano senza certezze scoperchia la patina di controllo che serve a ridurre al silenzio i miei tormenti. La burrasca non ha controllo, recide gli ormeggi e porta via. Mi sono sempre immaginata con le mani strette, i muscoli tesi a disegnare il profilo sulla pelle e le unghie conficcate in una porta di legno, svolazzante nell'uragano, decisa a non lasciarmi trascinare via. Comunque. A Milano sembra che il vento celebri la mia vita nuova con una burrasca imprevista. Mentre scrivo, sollevo una carta buddhista (ne ho un mazzo sulla scrivania), e leggo:
"Tutti gli esseri tremano di fronte alla violenza
Tutti hanno paura della morte
Tutti amano la vita"
Tutti. Dice così. Violenza e burrasca, ancora. E morte e vita.
Una manciata di ore tra domenica e oggi. Sono uscita con due borse nelle mani e il divertimento segreto di quattro parole in croce sputate in messaggi email a muovere il sorriso, ho camminato rifiutando mezzi protettivi e veloci. E, passo dopo passo, ho raggiunto il solito tavolo tra le solite mura nella solita invidia fatta crepuscolo. E scrivo. Ma no, non scrivo. Sono.
Il violino che ho ascoltato sciogliendomi di emozione a Pisa, le parole che erano musica e rabbia e passione, la stanchezza di notti insonni emotive pesanti dense e stridenti hanno ricostruito l'anima sgretolata, ma solo per un po', dalla mancanza d'acqua. Dall'arsura di stanze pettegole e vuote, sostituite da altre dense di scrittura e volti finalmente simili ai miei. E le mani, anche, il sorriso di Marco nelle pieghe dell'incontro con i lettori, i discorsi scambiati nei corridoi stretti tra i libri. E' stata una ricostruzione strana, con sorprese stupende e la constatazione di avere perso una parte di me, la peggiore, la più inutile.
I minuti perfetti tolgono polvere agli angoli che hanno ospitato cadaveri decomposti da tempo.
Non ho obiettivi con questo lento scivolare delle dita sulla tastiera, ho solo sensazioni che vorrei tradurre perché si potessero condividere. Sento le foglie, immagino i rami piegarsi e sfiorare la finestra. Ho una valigia aperta che aspetta che butti dentro qualcosa, il gatto che gioca e copre lo schermo del computer, un colloquio con un editore che mi dondola in testa. Ho ore nuove, che forse mesi fa non avrei voluto, ferma in un'illusione di amore e bellezza che è bastato un attimo a sgretolare: sono ore che adesso diventano tutto, e odorano di libertà. Quella vera. Come abbia potuto rinunciare al vuoto terrificante della libertà, come mi sia incatenata a un dipinto che niente aveva di reale è stupore, quando mi permetto di pensarci.
Insomma. Non posso trascinare oltre cristalli istantanei di emozioni, di evidenza che forse solo una fotografia sfocata e buia potrebbe mostrare. Vento. E burrasca. Uscirò di nuovo, un racconto erotico da scrivere e il manoscritto in tasca per non perdere le gocce della storia che preme.
Da domani a VeDrò. Proverò a raccontare, e se le mie (scarse) abilità tecnologiche lo permetteranno pubblicherò immagini e brevi video. Ecco di seguito il comunicato stampa.Potete trovare il programma di VeDrò qui: http://www.vedro.it/
"Tornano a Dro, in Trentino, dal 30 agosto al 2 settembre 2009, i protagonisti più giovani della vita del Paese sollecitati dal pensatoio VeDrò di Enrico Letta, Annamaria Artoni, Giulia Bongiorno e Luisa Todini. Circa 450 persone, tutte nate negli anni '60 e '70, tra cui professori universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, giovani impegnati a vario titolo nella politica, artisti, giornalisti, scrittori, registi ed esponenti dell’associazionismo. Il meeting è stato pensato per discutere dell’Italia del futuro. I temi caldi di questa edizione sono una ricerca sui nuovi lavori, le anomalie del sistema finanziario, l'etica degli affari e l'Italia di oggi vista dal cinema.
Dal mondo dell'impresa arriveranno i leader di Google Italia, Trenitalia, Autostrade. Saranno presenti inoltre l'economista Oscar Giannino, gli scrittori Folco Terzani, Antonio Scurati e Giampaolo Pansa e il giornalista Filippo Facci. Un appuntamento esclusivo, per il taglio generazionale e per l'assoluta trasversalità (politica, culturale, professionale, religiosa), che riunisce giovani di belle speranze e la futura classe dirigente del nostro Paese".
“VeDro' e' un'occasione straordinaria di riflessione e lavoro concreto. Ciò che faremo del nostro futuro dipende dal nostro impegno di oggi, soprattutto dai contenuti culturali che vorremo approfondire, discutere, estendere alla società.” Afferma Maria Giovanna Luini, scrittrice e senologa all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. “Scienza e letteratura, i due mondi solo apparentemente distanti che sono la mia vita, trovano nel lavoro a VeDrò opportunità di studio critico ed effetto reale sulla politica e sulla società.”
Entri nella stanza e sei circondato da volti e corpi a metà, mani alzate oppure giunte sul ventre, occhi scuri nel blu del buio, della pittura a tocchi e sfumature; un applauso esplode all'improvviso con gli ululati da stadio che dalle parete ti cadono addosso, rimbombano in un vuoto che scopri dentro, al centro del petto, poi vomitano fuori, esaltandoti anche se ti vergogni, schiacciandoti al sogno che prima o poi vorresti che capitasse. Sì che lo vorresti, un applauso così solo per te. E tace, in un istante. Ti trovi nel mezzo del delirio di un'illusione di trionfo, il blu ti penetra insieme all'entusiasmo di una folla che vorresti solo tua, poi le voci all'improvviso si zittiscono, la luce si accende mentre le immagini sulle pareti svaniscono e ti fanno sentire stupido. Un povero mentecatto che ha proiettato sui volti blu e le mani alzate un applauso che non ha avuto.Ridono, quei muri che ritornano bianchi e spogli, hanno capito che anche tu come tanti ti sei fermato al centro e hai chiuso gli occhi solo un po', hai lasciato filtrare attraverso le ciglia il tanto che bastava per sentire che intorno le figure diverse ma uguali, livellate dal colore e da dettagli appena percettibili, stessero acclamando te. Il caldo sudore sbavato sulla pelle è evaporato nell'esaltazione di un momento, la cappa opprimente di laguna appiccicosa solo in parte alleviata dalle foglie degli alberi lungo i viali è caduta sul pavimento per metterti nudo, e perfetto, al cospetto di un pubblico che mai avresti pensato di avere. Non hai avuto caldo, non eri stanco, non sentivi più la fame che hai premuto indietro nello stomaco per cogliere il tempo e vedere. Vedere di più. Blu, e applausi. E luce bianca che ha spazzato via l'estasi, quando il sogno è arrivato e stava per sollevarti dalla normalità di una vita come le altre.La Biennale è l'assaggio per eccellenza, non puoi dire di averla vista ma neanche l'hai ignorata. Porti a casa il catalogo completo con l'illusione che ciò che ti è scivolato sugli occhi per stanchezza, per il limite fisiologico di attenzione del cervello umano, ritornerà quando sul divano sfoglierai le pagine con l'aria condizionata accesa. Resti fermo in alcune stanze, in qualche padiglione, quando il brivido dei sensi ti impedisce di proseguire, altre volte corri con la sensazione di perdere e non poterci fare niente. Il catalogo affascina e stimola i ricordi, ma non aiuta: puoi avere il divano e forse l'aria condizionata, ma capisci che devi ritornare. Il taccuino nero su cui scrivi dove, quando, perché, non serve: vuoi masticare la sabbia aspra delle emozioni, e vuoi farlo subito. Come succede nelle installazioni sparse qua e là, che ti acchiappano a tradimento e sono sorprese che si lasciano strappare, ti seguono incollate alla memoria, come il rombo inquietante nel buio quasi totale del Lussemburgo, con le immagini proiettate a scuoterti l'anima su uno squallore da scarafaggio che emerge dalla desolazione della guerra. Oppure la fotografia scattata alla tua ombra, in un altro punto di Venezia che raggiungi se sai seguire le indicazioni sul pavimento: ho visto il mio corpo eretto, con lo zaino floscio sulle spalle e la testa avanti, inconsapevole del flash che pochi secondi dopo l'avrebbe fatto sussultare. Ho guardato la mia ombra e sono rimasta ferma, scoprendomi nuova e diversa da come immaginavo.Alla Biennale, che regalo. Ho pensato di scrivere qualcosa dei miei giorni, poi ho capito che ci vorranno tempo e ordine. E ritornerò, per assaggiare di nuovo e meglio. E perdermi come poche altre volte nella mia vita.Ci sono stati momenti di sorriso, come nel padiglione belga dove ho ricordato i miei tre anni di vita a Bruxelles davanti alla scritta "Etterbeek" su alcune fotografie, e ho considerato che sì, il padiglione rispecchia il popolo. Mai visto padiglione più belga di quello: chi ha vissuto in Belgio può capire il senso quieto di un'apatia non reale, quella specie di sonno che nasconde guizzi vivaci che bisogna essere capaci di cogliere e seguire per non scivolare nella narcolessia. Il Belgio della cortesia, della cena alle cinque e mezza del pomeriggio e dei club privèè indicati con luci al neon: quando ritorni hai nella testa le luci al neon che i belgi usano solo per ciò che è sessuale, e per un po' di tempo guardi con sospetto i locali che a casa tua ostentano le stesse luci e sono semplici ristoranti, o bar, o negozi con la voglia di apparire. E il padiglione del Brasile, con i colori vivaci spinti a ristorarmi che hanno sbloccato finalmente la ritrosia alle fotografie. O l'Egitto, le gigantesche figure con l'odore della paglia inchinate ad accogliere i visitatori: mi sono fermata e ho apprezzato l'amore, in un tempo di scetticismo evidente, osservando due giganti immortali che si baciano teneramente circondati da gatti con le code ritte e le zampe snelle. E ancora, ancora.Scriverò, con più calma. Perché niente può bastare: non bastano giorni di visite, non bastano ore di ricordo silenzioso. Intanto qualche fotografia.
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