Nel domino letterario lanciato da Laura e Lory si parte da QUI.
L'ultima frase di ogni racconto è la prima del racconto successivo. Invito gli amici scrittori che frequentano questo blog a unirsi al gioco. Gioco? Chissà.
Laura Costantini nel blog dove trovate il racconto di inizio (link qui sopra) indica l'indirizzo per iscrizioni e contributi.
Ecco la mia parte.
Solo l’intrecciarsi dei fili del destino l’aveva portata davanti al
peggiore negozio che avesse mai visto: l’insegna pacchiana, troppo
gialla, immersa nelle luci artificiali e stucchevoli del centro
commerciale l’aveva subito intristita.
- Possibile che anche la vigilia di Natale debba essere qui a farmi il
mazzo per quattro scemi che non sanno più come spendere i propri soldi?
L’aveva detto a voce alta, specchiandosi in una vetrina senza vedere
cosa fosse esposto oltre l’immagine stanca e tremula del suo corpo
snello, un po’ curvo sotto il peso del giaccone pesante che si era
infilata in fretta la mattina, uscendo di corsa.
- Cosa faccio qui?
Aveva chiesto, senza aspettarsi una risposta. Era sola, chi avrebbe potuto ascoltarla?
Un uomo si era fermato.
- E’ in difficoltà? Posso aiutarla?
Aveva alzato le spalle, imbarazzata.
- Ma no, non si preoccupi.
L’aveva seguito con lo sguardo mentre si allontanava, colpita
dall’andatura sciolta che contrastava con l’abbigliamento povero, quasi
da mendicante. Erano belli, gli occhi di quell’uomo: li aveva visti
solo per un attimo, sembrava che volessero dire qualcosa.
“Suona il violino”.
La custodia sotto il braccio destro sembrava grossa per un violino,
però Laura non conosceva altro strumento con quella forma, e le piaceva
l’idea che l’uomo suonasse il violino o un altro aggeggio con il
medesimo aspetto poetico e rilassante. Non aveva mai incontrato un
musicista: da bambina aveva sognato di sposarne uno, ma la vita della
rappresentante di prodotti di bellezza non era compatibile con il giro
di amicizie e relazioni adatto per portarla di fronte a un artista, a
un suonatore di uno strumento qualsiasi che potesse interessarsi a lei
e chiederla in moglie.
“Mah, forza, Laura, finisci e vai a casa”.
Sollevò la pesante borsa di cuoio piena di prodotti, trascinò i piedi
fino alla profumeria che l’aveva chiamata all’ultimo istante, la
vigilia di Natale, per un’improbabile riassortimento sul filo di lana,
al di fuori delle normalissime forniture dell’azienda. Camminò con il
braccio intorpidito dalla fatica, sudando nel giaccone troppo pesante.
Vide le luci gialle della vetrina, immaginò le confezioni regalo
esposte al pubblico, quelle che mettevano insieme le saponette e i
profumi, e bottiglie extralarge di bagnoschiuma che nessuno avrebbe
usato. Detestava le confezioni regalo che le profumerie propinavano ai
clienti per Natale: sembravano illusioni per gonzi il cui profumo, lo
sapeva, era destinato a scemare fino a scomparire dopo due o tre
passaggi dei saponi nelle mani e tre o quattro aperture del tappo del
bagnoschiuma. Preferiva i profumi da soli, quelli che costavano un
occhio ma erano un regalo a sé, senza fronzoli, alteri e presuntuosi:
la intimidivano, aveva imparato a piazzarli nell’angolo del bagno più
discreto dove poteva afferrarli senza che la facessero sentire una dama
fatua e precocemente invecchiata.
Arrivò alla profumeria, si fermò. Doveva fermare i pensieri, elucubrava
e inventava sciocchezze per evitare di concentrarsi sul lavoro. Era
arrivata, doveva entrare e fare bella figura con la proprietaria perché
avrebbe potuto darle una mano con il titolare dell’azienda, che non le
pagava lo stipendio da tre mesi perché era in crisi e preferiva dare i
pochi soldi che riusciva a tirare su alla sua collega, quella che aveva
figli.
- Sai, ha figli. Tu no.
Da tre mesi andava avanti così: l’errore di essere senza figli la
rendeva indegna dello stipendio. Ma alternativa non esisteva, e tra
l’altro quel viaggio della vigilia di Natale al centro commerciale I
Fili era uno scherzo del destino perché avrebbe dovuto esserci la sua
collega là, davanti alla vetrina sfavillante di luci gialle pacchiane,
ma la collega, appunto, aveva figli e aveva chiesto a lei di farle il
favore di sostituirla.
- Ti prego. Sai, i miei figli si aspettano un Natale decente.
Un Natale decente. Come dire no? Come togliere alle creature la decenza
del Natale? Aveva acconsentito, raccolto la borsa con i prodotti e
messo il giaccone, cercando in tasca le chiavi della macchina.
- Farai in fretta. Non ti renderai nemmeno conto, la titolare è simpaticissima e metterà una buona parola con Gustavo.
Gustavo, l’anima nera dell’azienda. Colui che tutto poteva.
Insomma, la collega se l’era cucinata bene, non solo l’aveva convinta a
sostituirla nell’uscita con i prodotti la vigilia di Natale, ma aveva
infilato un discorsetto su quanto fosse fortunata a andarci lei, con le
brillanti prospettive di una bella figura con la titolare.
Spostò in avanti il braccio libero, aprì la porta, accettò senza smorfie il dlin dlin della campanella.
- Ah, che meraviglia, è Laura, vero?
Una donna truccata pesante con la voce chioccia le andò incontro, le
strinse la mano. Le indicò un bancone carico di confezioni natalizie
ornate da fiocchi rossi.
- Andiamo di là. Ho molte cose da dirle.
La seguì, pensò alla collega: aveva detto che se la sarebbe cavata in
fretta, mentalmente la ringraziò, acida. Un Natale decente per i figli.
Ultimi commenti