racconti, fiabe, romanzi a puntate, pensieri e pezzi di parole
(i testi pubblicati in questo blog e le fotografie sono di esclusiva proprietà dell'Autrice)
AAVV: RAC-CORTI - Il chiama angeli Il mio racconto "Il chiama angeli" nell'antologia RAC-CORTI di Giulio Perrone Editore 2008
AAVV: EROS & AMORE - La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila Il mio racconto "La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila" nella sezione EROS di "Eros & Amore" di ArpaNet, 2008
"I racconti delle bacche rosse": Lampi di Stampa Editore, I Platani Narrativa, 2008 Il secondo libro di fiabe
AAVV: CONCEPTS PROFUMO - La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane Il mio racconto "La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane" nella raccolta "CONCEPTS Profumo", Edizioni Arpanet 2007.
"Una storia ai delfini": Edizioni Creativa, 2007 il mio primo romanzo
AAVV: CONCEPTS MODA - La donna vestita di fiori Il mio racconto "La donna vestita di fiori" nella raccolta "CONCEPTS MODA", Edizioni ARPANet 2007
Luciano Comida Ho la fortuna di amare e di essere amato: faccio lo scrittore, il giornalista, l'impiegato statale, leggo, ascolto rock e jazz e classica, guardo cinema e teatro, tifo Toro, sono valdese.
Michele Crismani Ho tredici anni, non mi piace tanto la scuola (anzi proprio per niente). Invece mi piacciono le ragazze, il calcio, il rock (sia ascoltarlo che suonarlo), i film, mangiare patatine fritte di sacchetto, bere coca-cola e tirare dei rutti che scandalizzano mio papà e mia mamma.
Calogero Miceli poeta, presepista, scrittore e sceneggiatore emergente. Prova a fare anche lo studente in scienze della comunicazione. Vivo ogni giorno intensamente perchè considero la vita un grande dono e perchè in essa ho ricevuto il dono della poesia.
Cantastorie errante ...ogni cosa è intorno al nostro essere, sta a noi saperla vedere ed appropriarsene per donarla agli altri
Il Comune di NOVELLARA ha sempre accolto la mia scrittura con l'entusiasmo e la disponibilità dei veri amici. L'amica Ebe Mirka Bonomi, che insieme a me ha incontrato più volte i lettori rendendo i reading indimenticabili grazie all'interpretazione unica, è presenza costante e stimatissima in questo blog.
Ringrazio con amore Ebe Mirka e il Comune di Novellara per l'amicizia e per questo grandissimo dono: l'8 marzo insieme alle mimose le donne di Novellara riceveranno dal Comune "Le parole del buio", il secondo romanzo che ho pubblicato con Creativa nel 2008.
Siamo ridicoli, è bene che tu lo sappia. Il peso della consapevolezza non deve ricadere solo sulle mie spalle: se si fa a metà non c'è sollievo, ma almeno non esiste il rischio teorico dell'ingiustizia. Equità, suvvia! Siamo ridicoli, sta tutto lì. Conosco il brivido subdolo del barlume di dubbio, e mi viene da ridere: sto contando a voce bassa i volti e i nomi che in questo momento, leggendo, indicano se stessi con un dito. "Parlerà con me?", anzi, chiedo scusa: "Parlerà di me?". Perché un certo gruppo di affezionati o saltuari lettori di questo blog cerca se stesso (o se stessa) nelle parole che vernicio ogni giorno, e non sempre c'è paura. Il paradosso della scrittura è che, in fondo, si desidera essere presenti. Il fascino irresistibile della menzione pubblica, con la mano di uno scrittore a cesellare identità che tanti scrutano. Perché anche nella critica o nella rabbia si è. Si è qualcosa per chi scrive, capite? Se uno scrittore si affanna a definirmi sbagliata, antipatica, piazzista di libri, becera e bulimica significa che mi pensa! Mi ha in testa! Creo invidia o faccio paura, o suscito rabbia fremente che è parente dell'amore. In un blog può anche essere esercizio da niente (per me non lo è: prendo seriamente il blog almeno quanto i libri che scrivo, ma non per tutti è così), ma se la dotta e malevola citazione si trova in un libro l'orgasmo è immediato. Almeno per me. Certo, la medesima regola si applica al mio scrivere. Oh, quanti mesi ho regalato a pensieri e gente inutili! Quante frasi e righe e paragrafi! Per niente! Dentro di me avevo la percezione esatta della forza storta di cui nutrivo persone che, poi, mi sono apparse nella loro verità. Cioé brutte.
A proposito di bruttezza. Questa sera, nelle vie fredde ma almeno non piovose di Padova, camminavo spavalda e, con il mezzo sorriso stampato sul trucco ibernato dalla passeggiata, pensavo. A cose varie, niente di drammaticamente importante: constatavo di essere serena. Appagata da una scelta leggera di assenza che è arrivata spontanea, come il silenzio che per ore ho desiderato senza ottenerlo e mi è nevicato addosso al termine della conferenza su creatività e dolore. Ho fatto pulizia senza troppo sforzo, mi rendevo conto che i movimenti erano più agili e liberi. "Ho sofferto come un cane per quasi tre quarti d'ora", avrebbe detto il Sassaroli nella gigantesca e tragica opera d'arte di "Amici miei": i tre quarti d'ora sono trascorsi e il respiro è fresco e ampio. Insomma, non divaghiamo. Ero nelle vie di Padova e stavo bene come adesso. Ho incontrato un uomo che non conoscevo: fisicamente, nel buio, assomigliava a un altro che nel passato ho ricoperto di importanza eccessiva. Ho guardato la somiglianza falsata dalle tenebre e mi è venuto da ridere. L'altra faccia, quella del ricordo, mi è apparsa brutta. Ma brutta sul serio, per la prima volta. E mi è venuto da ridere. "Ma quanto eri brutto?", ho chiesto all'ombra spuntata fuori senza pathos né emozione, e ho accettato placidamente che lo stesso si dica di me, se si vuole. Niente di male nell'essere considerati brutti, in fondo. Se fossi amorfa mi seccherebbe, ma brutta può andare bene. A patto che si capisca che bruttezza e bellezza raramente sono universali, ma a rendere relativo l'eventuale concetto di mia bruttezza per fortuna esistono i cosiddetti rinforzi positivi, cioè i messaggi di chi mi ama e ritiene, senza mentire, che per lui/lei io sia bella. Sono certa che anche l'uomo che ho evocato nella notte padovana grazie a un volto visto di sfuggita sia meraviglioso per qualcuno, lo è stato anche per me in un tempo che adesso faccio fatica a mettere insieme in un sospiro.
Sospiri. Ne ho sentiti tanti oggi. L'incontro con l'università popolare su creatività e dolore ha portato emozione. Tanta emozione, anche a me. Ho superato la pigrizia della lettura pubblica e condiviso brani dalle memorie intime di Simenon, da libri di Tiziano Scarpa (ma sì, dai, fate il commentino e tirate avanti: la scrittura di Scarpa mi piace e lo dico fino alla vostra noia; il blog è mio e andrò avanti finché ne avrò voglia), "Diario di melassa", "Una storia ai delfini" (la prefazione di Veronesi) e "Le parole del buio", il diario di Virginia Woolf. E ancora, "Rendez-vous", "Niente di grave", "Ho il cancro e non ho l'abito adatto". Stuzzicando la mia fantasia (forse anche quella di altri presenti in sala, non saprei dirlo) con Hopper, Picasso nel suo periodo blu, Van Gogh e Munch. Abbiamo discusso di dolore e amore, e scrittura, e riflettuto sull'importanza drammatica dei saggi, i libri che possono creare una differenza nella cultura della gente. A proposito di cultura, sapete che cultura è vita? I dati statistici dicono che chi si ammala di tumore ha una probabilità maggiore di guarire se ha un livello culturale alto. Alt, fermi: ho detto livello culturale, NON economico! Significa che chi ha gli strumenti culturali per informarsi e scegliere criticamente le cure fa qualcosa di buono per sé.
Fare qualcosa di buono per sè. Non so voi, care amiche lettrici, ma questo compleanno che mi galoppa addosso crea riflessioni da "i miei primi quarant'anni". Non è che mi piaccia troppo, ma serve. Un assioma: le amiche che hanno vissuto i quaranta e oltre dicono che "adesso inizia il bello", e tutto sommato, se considero la luce e non le ombre che popolano la vita di ciascuno indipendentemente dall'età, posso crederci. Il bello dovrebbe essere un amore per sé finalmente scoperto e reso saldo. Anche nel mezzo di difficoltà e, talvolta, vere e proprie tragedie. Oppure in mezzo ai soliti problemucci di sesso e relazioni altalenanti o solo immaginate. L'amore di sè, fare qualcosa di buono per sè. Rinunciare, per esempio. Udite, udite! La Luini finalmente proclama qualche rinuncia! Temo di sì, ma non la rinuncia alla scrittura e neanche a relazioni e affetti che ritengo meravigliosi, e non rinuncio, sappiate, a qualche abitudine privata che mi rende ciò che sono. Rinuncio all'autolesionismo. A quella spinta orribile nata con me, più o meno, che ha fatto di tanti miei anni un cumulo di tortuose, complicatissime salite con poche radure e quasi nessuna tappa di vero e gratuito refrigerio. Ho sempre pagato tutto, chiunque mi conosca bene lo sa. Pago ogni singolo piacere a prezzo tremendamente alto, sono diventata una bestia feroce perché ho dovuto affrontare ogni genere di ostacolo occulto o palese per raggiungere quello che ho. Ma. In parte ho anche camminato a passi più pesanti perché io stessa appoggiavo alle caviglie una zavorra inutile. Ostinata e convinta della mia potenziale onnipotenza, ero la nemica più sottile di me stessa. Bene, questo non cambia con un compleanno, è già cambiato: la data del 21 febbraio sancirà solo il passaggio ufficiale. Come il capodanno appena trascorso: gli amici più intimi sanno che da mesi preparavo, lentamente, alcune espulsioni da celebrare nell'istante di passaggio tra il 31 dicembre e il primo gennaio 2010. Macinavo pensieri e altalenanti serenità, parlavo o tacevo, ma quelle espulsioni avevano un timer che, effettivamente, è scattato inesorabile e ha funzionato. Intorno a Saturno abbiamo qualche anello in più, ho spedito in orbita perenne persone che ormai erano solo dolore e ostacolo, e credetemi se dico che sono davvero uscite dal mio cuore nel rapido cambiare della data. Quindi. Niente svolte epocali, a meno che non siano preparate da un cammino paziente e lucido. Ciò che accade ora. Ho qualcosa da fare, ancora. Avrò sempre qualcosa da fare nella mia eternità. La tappa dei quarant'anni è fare qualcosa per me, abbandonare l'autolesionismo. E smettere di accettare situazioni da fumetto di serie zeta. Amen.
Oh, che peso questa Luini! Ma no dai, la realtà è luminosa e serena. Qualcuno ride leggendo "luminosa e serena", ma sbaglia: se la luce si accende in testa, o in un posto interno del corpo a vostra scelta, già molto è stato ottenuto.
Mi sento un predicatore americano. Alzate le mani e cantate con me. Nel tocco della pelle con la pelle la piccola scarica di adrenalina sarà sensuale, credetemi. Guardate i miei occhi, lo sguardo è per voi. Sensualità e affetto, perché penso a voi che leggete e non sempre mi siete noti. Quando vedo il numero di letture di questo blog mi emoziono, e quando qualcuno si ferma e mi tocca la spalla e sussurra "Lei è la scrittrice del blog, vero?" (come è accaduto martedì scorso) ho la nettissima sicurezza di amare. Amo gli occhi che leggono, le mani che commentano e quelle che invece restano ferme accanto alla tastiera del computer, amo chi fa finta di non leggermi e ritorna a dare un'occhiata simulando disinteresse, amo chi si chiede se la mia vita sia quella che si legge qui oppure sia completamente diversa, amo chi si manifesta e chi no. Amo chi ispira i miei racconti: suscita emozioni fortissime, lo dicevo qualche paragrafo sopra, e non solo la rabbia. C'è chi ispira racconti negativi, chi ispira erotismo, chi ispira o ha ispirato amore. O tutto questo insieme. C'è la mia amica Simona, parte di me, che si è chiesta perché non l'abbia mai nominata nei miei scritti: non capisci che sei in ognuna delle parole? Non capisci perché sono diventata ciò che sono anche in ambito medico? Credi davvero che sia stato solo per quel ricordo drammatico che abbiamo condiviso? Secondo te non ho temuto per altri, non ho pianto, sperato, tremato, pregato? Simona, sei qui adesso ma non serviva che ti menzionassi. La natura di noi è fusa nelle mie parole.
Uh, quanta roba. Raffiche di follie e aliti di niente. Cielo! E tutto è partito da cosa? Ah, certo. Dal fatto che siamo ridicoli. Parlo di te, vedi? So che hai letto fino in fondo, adesso sei fermo su queste sillabe che si rincorrono una a una. Nella tua testa hai costruito spiegazioni plausibili per la nostra ridicolaggine, e sono costretta a deluderti: non è così complicato. Siamo ridicoli come tanti altri: sono stata ridicola così con altre persone che, come te, mi sono piaciute molto. Abbiamo messo in atto l'unica forma di stupidità possibile per gente come noi. Non abbiamo avuto la lealtà e il coraggio di parlarci. Sottovalutando la reciproca intelligenza e, anche, sminuendoci un po'. Che peccato. E' come morire senza avere visto il mare.
Mi chiedo cosa sia una vittima. Cosa significhi essere vittime.
A un incontro con i lettori a Rimini, mesi fa, abbiamo discusso di quanto (e se) la pedofilia possa essere oggetto di prevenzione. "Diario di melassa" affronta anche questo, la pedofilia e le conseguenze su chi la subisce: ecco il perché della discussione, nata spontanea e forse ovvia nel contesto dell'alternarsi domande-risposte sul libro.
La prevenzione della pedofilia è necessaria, sottovalutata e, purtroppo, destinata a un certo grado di fallimento a priori. Spero di riuscire a spiegare perché.
Dedico qualche riga al carnefice. Salvo casi eclatanti, è subdolo e apparentemente irreprensibile, il più corretto e probo degli uomini (o delle donne). In più, fa spesso parte della famiglia o della ristretta cerchia di amici: ho visto, so cosa significhi sapere e tacere, il marcio della perversione pedofila il più delle volte è rifiutato dalla consapevolezza (dalla dimensione conscia di chi potrebbe intervenire) anche quando intuito o intuibile, oppure nascosto a priori per evitare lo scandalo o i traumi (per gli adulti), le separazioni, le liti. Mentre i media ululano che la pedofilia vada identificata con tempestività, le famiglie coprono, ignorano, voltano gli sguardi altrove. Oppure inventano patetiche ragioni per il comportamento patologico di alcuni irreprensibili (insospettabili) componenti. Dico l'ovvio, fino qui, ma la verità è che si arriva a giustificare la pedofilia in alcune forme perché "solo molestia leggera", senza considerare che per un bambino la molestia leggera è, di fatto, violenza.
Pensiamo alla vittima, però, e spostiamoci dall'ovvio.
La vittima della pedofilia entra pesantemente nella successiva prevenzione perché può reagire in modo poco prevedibile a ciò che ha vissuto nell'infanzia e adolescenza. Nell'immaginario, la parola "vittima" rimanda a pianto, dolore, sofferenza e compatimento. Fa pensare a qualcuno che abbia ricevuto torti, violenza, offesa, e debba conseguentemente ricevere un po' più di affetto, un po' più di attenzione, forse un po' più di pazienza. Poche volte ci si concentra su quanti danni psicologici la vittima abbia ricevuto e strutturato dentro di sè: soprattutto se bambina (o bambino), la vittima viene plasmata dall'accaduto e se lo porta dietro, lo rende parte del proprio modo di vivere, amare o non amare, reagire e desiderare. Non sempre lo sviluppo della personalità va verso la serena e triste accettazione della violenza ricevuta, con il fermo proposito che il ricordo di eventi traumatici non causi ulteriore violenza. Non sempre, soprattutto, si hanno gli strumenti e i mezzi per chiedere aiuto. Quando impari da bambino a leggere il sesso come gesto di complicità e amore con il pedofilo (cosa sia l'amore ti viene insegnato dalla vita, non certo dalle parole degli educatori), l'atto sessuale assume significati che per la persona fortunatamente libera da ricordi di violenza sarebbero impensabili. Ciò che è torbido, duplice, connivente e sadomasochistico entra a fare parte di un orizzonte misto paura-repulsione-desiderio, si scambia facilmente l'erotismo per l'unica manifestazione possibile dell'amore. E, nei casi peggiori, si assume il medesimo atteggiamento del pedofilo conosciuto nell'infanzia, per un senso di rivincita, di vendetta postuma, ma anche di malsana passione assorbita con i gesti, e con l'impasto putrido di complicità e perversione acquisito nei primi anni di vita.
Il pedofilo (uso il maschile intendendo uomo o donna, indifferentemente) è spesso parte della ristretta cerchia familiare, o di quella degli amici fidati: se coinvolge un bambino o bambina in giochi erotici che millanta con amore o "amicizia segreta e particolare" crea il duplice danno della sofferenza fisica e della maledizione eterna di non conoscere più la differenza tra amore e tortura. Il bambino molestato cresce convinto di avere ricevuto attenzioni particolari e molto preziose in quanto essere speciale, non riesce a vedere che ogni dettaglio, anche il più insignificante, è stato solo il frutto di un'orrenda e brutale violenza fisica e psicologica. Rischia, successivamente, di vivere e desiderare il sesso come una ripetizione di ciò che nell'infanzia ha suscitato brivido, emozione confusa ma fortissima, intimità indicibile con qualcuno che "amava". Rischia di infilarsi in reazioni che ricalcano il rapporto vittima-carnefice, senza esserne consapevole, trasformandosi in vittima (ancora) oppure carnefice, incapace di fermare quella che, secondo me, non è altro che l'eterna ripetizione dell'orrore. Si resta vittime anche da adulti, a meno che non intervengano persone esperte che riescano a fermare un copione che è condanna.
Qualcuno all'incontro di Rimini ha detto che la pedofilia dovrebbe essere combattuta con la prevenzione. Ho seri dubbi sulla possibilità di prevenire un orrore che troppe volte fa parte della famiglia: come dicevo all'inizio, è difficile se non impossibile accorgersi della perversione di un fratello, una sorella, padre o madre, nonno o nonna, e ancora più difficile è affrontare il problema quando i segnali vengono percepiti e la verità rischia di rompere equilibri di affetto e immagine costruiti negli anni. Si ignora perché si desidera farlo, perché è la via più facile e accettabile per tutti. Perfino la vittima tace, anche quando prende coscienza della situazione (e ciò non accade subito, almeno non sempre). La vittima sa che non dovrà parlare, e se lo farà non verrà creduta, e se anche verrò creduta provocherà dolore. Il dolore dei genitori, dei parenti, di chiunque sarà colpito dall'evidenza di un vizio malato difficile da affrontare.
"Se parlo succederanno cose brutte, e sarà tutta colpa mia". "Forse ho sognato e frainteso, forse sono stata io a provocare l'interesse della persona che mi ama tanto e accuserò ingiustamente". Mi sembra di sentire i pensieri di queste vittime silenziose, che strutturano dentro di sè la colpa e la infilano a forza nella propria personalità, tirando fuori la rabbia molto dopo, con manifestazioni che niente hanno a che vedere con il motivo vero. Quello che avrebbe dovuto essere stroncato sul nascere da chi poteva.
Vittima. Povera, triste vittima.
Vittima. Pericolosa, triste vittima.
Mi è stato chiesto cosa mi aspetti da "Diario di melassa", che affronta il disturbo alimentare e la pedofilia. Ho risposto, e rispondo qui ora, che non è altro che un libro. Esistono decine, centinaia di altri libri su questi argomenti: alcuni hanno dentro la verità, cioè l'ambiguità profonda e disperante di chi davvero sa cosa significhi essere vittima, altri sono invenzioni. E' vero però che il silenzio totale che cade, cristallizza tra i lettori alle presentazioni di questo libro in alcuni momenti, e le testimonianze successive, a tu per tu, e le decine di email che ricevo mi regalano la flebile speranza che un libro in più possa servire a aggiungere voce. E' la stessa flebile speranza che ho sentito a Pontedera nell'ottobre 2009, quando ho presentato per la prima volta il libro al Festival organizzato da Librialsole e Tagete Edizioni. Non ho soluzioni, non ho scritto "Diario di melassa" con l'intento di proporne: avevo in mente di raccontare, l'ho fatto. Non aprirò gruppi anti-pedofilia sui social network, non mi sento in grado e avrei sempre la sensazione di essere fraintesa. Sono uno scrittore (anche qui uso il maschile, mi piace di più: è un termine globale, ha dentro uomini e donne) che ha voluto, e vorrà ancora, parlare di pedofilia e incesto. Posso raccontare cosa accada a una donna che ha sofferto pesantemente di binge eating disorder e, forse, conosce le conseguenze torbide della pedofilia. Posso, probabilmente, dire a chi si sente solo che l'aiuto esiste, e funziona. Posso testimoniare che si incontrano persone meravigliose in grado di capire, e persone aride che chiedono la cortesia di evitare alcuni argomenti. Oltre non voglio andare.
Vittima. Cosa è una vittima? E' una bomba inesplosa che ha dentro un buco orrendo, ecco cosa penso. Non merita pietà speciale quando provoca a sua volta dolore, va punita se sbaglia, ma avrebbe potuto ricevere aiuto: se non l'ha avuto forse la colpa è anche mia, vostra, nostra. Per ritornare a qualche paragrafo sopra, dicevo che in teoria la vittima dovrebbe ricevere più affetto e pazienza, ma non lo penso sul serio: di recente qualcuno che mi vuole bene ha detto che in una determinata occasione sono stata trattata malissimo proprio da chi sapeva cosa ho vissuto nel passato, e questo è ingiusto. No, non è ingiusto. Succede e basta. In fondo, è segno di normalità. Non esiste ragione per cui la gente debba usare con me tenerezza quando non ha voglia di farlo. La vita è questa.
Il 13/12/2009 presso la sala rossa alle ore 13,00 Aperitivo poetico letterario con la partecipazione delle autrici Maria Giovanna Luini, Claudia Reghenzi, Cinzia Anselmi e Anna Mancini. Coordina il poeta Çlirim Muça.
Maria Giovanna Luini parlerà di Una storia ai delfini, Claudia Reghenzi di Giallo all'ombra del vescovado, Cinzia Anselmi di La maschera del successo e Anna Mancini di Maat, la filosofia e la giustizia nell'Antico Egitto.
13 Dicembre 2009 alle ore 13.00 Superstudio Più via Tortona, 27 - MILANO
Manda brevi messaggi email e pezzi di musica. Nell'ultimo messaggio, musica di Scarlatti. Ascolto molte volte, spesso è notte quando approfitto del silenzio per perdermi e immaginare. E' bello sapere che esista da qualche parte, lontano oppure vicinissimo, un uomo (il cui volto ho intuito da una fotografia) che suona per me. E spedisce, poi, i pezzi perché li possa ascoltare. Il nascisismo che non mi manca è gratificato, ma non si tratta solo di questo: queste mani misteriose che suonano e mandano messaggi ricostruiscono l'idea, l'impressione, come in un soffio impertinente, di delicatezza e pensiero. Delicatezza, pensiero. E' un'impressione che più volte è mancata, in questi anni recenti di rivoluzione e cambiamento: ho conosciuto uomini capaci di grandi crudeltà e piccineria impagabile, ma ne ho incontrati alcuni densi di tenerezza, e stupore per la bellezza di uno sguardo. Uomini che, a tratti, hanno saputo spiegarmi l'amore. Dico l'ennesimo grazie, in queste righe pubblicate dopo una giornata di viaggio e mare grigio e freddo, a chi mi spedisce la musica: non sono costante nelle risposte, probabilmente deludo le tue aspettative, ma la tua arte è compagnia frequente dei miei silenzi.
Strano come la posta che ricevo si assomigli nel contenuto in base a ciò che pubblico nel blog. O forse non è strano: la lettura provoca reazioni, che sono echi di ciò che nel blog compare e suscita riflessione. O critica. O emozioni. Insomma, alcune donne mi hanno parlato di amore nelle lettere notturne (tutte scritte di notte!) che hanno riempito il mio indirizzo email. Queste lettere, molto belle, hanno raccontato vite a frammenti e posto domande; si sono accavallate alle domande che ho ricevuto venerdì sera a Senigallia, alla presentazione di "Diario di melassa". A Senigallia, CG, una donna che considero amica e sento spesso in Facebook, ha chiesto se creda ancora nell'amore. Se dia fiducia all'amore. Il senso della domanda era questo: nei libri racconto amori mancati, interrotti, tragici, spesso traditi; come posso fidarmi ancora quando amo qualcuno, se la mia visione dell'amore è questa? Più o meno, è ciò che colgo anche nelle lettere recenti delle lettrici: ci si fida ancora dell'amore quando gli eventi hanno portato molto dolore? Confesso che la mia risposta è meno lineare rispetto al passato. L'istinto, fino a qualche tempo fa, mi avrebbe imposto di dire un "sì" convinto, spregiudicato, incosciente, un sì destinato a gettarmi nell'azzardo e nel pericolo con il sorriso sulle labbra. Ma. I tempi sono diversi, e qualcosa dentro è cambiato. Provo a raccontare che cosa.
Perdonate la digressione di vita vissuta, mi serve per calare nel reale parole che potranno sembrare filosofia da niente. In un momento della mia vita, ho amato molto qualcuno. L'ho amato tanto da accettare la consapevolezza che, prima o poi, l'amore sarebbe finito; e ho fatto ancora di più, non l'ho solo amato: mi sono fidata. Ho creduto che, anche nella peggiore delle situazioni, quell'uomo avrebbe rispettato un patto di lealtà da lui stesso proposto nei momenti migliori, e mi avrebbe parlato con tatto e delicatezza di un'eventuale rottura tra noi. In realtà, avevo dimenticato questi dettagli, avevo perfino rimosso la faccia di lui, mi sono ritornati in mente l'altra sera mentre lavoravo alla seconda stesura di un romanzo che al momento riempie le mie ore. Quell'uomo, a un certo punto della nostra storia, incontrò un'altra donna e con lei iniziò una relazione; lo capii dai soliti, squallidi segnali (resterà mirabile un telefono cellulare lanciato di fretta, nel bagno, a un mio incauto presentarmi sulla soglia: chi di voi ha vissuto una cosa del genere può capirmi) e provai a chiedere, ma mi sentii rispondere con una serie di banalità che solo una mente ottenebrata dall'amore avrebbe potuto accettare. La mia mente, ahime. L'ultima volta che lo vidi, preparò ogni cosa alla perfezione: trascorse la notte con me, si fermò a casa mia anche la mattina, poi mi portò a pranzo e aggiunse una passeggiata al mare. Per poi sparire senza spiegazioni e liquidarmi, dopo circa un mese, con l'epica frase (rigorosamente telefonica): "Sei stata una piccola parentesi".
Sei stata una piccola parentesi.
Bene, fine del siparietto autobiografico. Sarebbe inutile, autolesionistico e fuori dal tempo presente soffermarci sul dolore devastante che quelle parole hanno provocato, senza una vera ragione per il suo pronunciarle. Fermiamoci alla frase, vero nucleo di tutto. A Senigallia, venerdì sera, ho tentato di analizzare le motivazioni per cui un uomo, finito l'amore (o l'affetto, o la simpatia, mettetela come vi pare), debba lasciare andare dalle labbra una frase del genere. Gratuita, non necessaria, fonte di dolore tremendo per chi la riceve, definitiva nell'azzerare la stima. Sincerità? No, è una risposta sciocca. Che sia stato sincero o meno, credo che nessuno abbia voglia di farsi ricordare come quell'uomo inevitabilmente è ricordato da me: un povero cretino. Disprezzo? E perché? Perché disprezzare chi ti ha amato, chi tu stesso hai amato? Scarsa educazione? Sì, questo sì, perché una cosa che ho dovuto per forza constatare è che, nonostante un'immagine sociale particolarmente "ricca", quell'uomo non abbia mai dato prova di particolare eleganza. Insomma, che l'amore finisca capita continuamente, ma che si ferisca qualcuno con poche parole buttate fuori così non dovrebbe essere previsto dal manuale del perfetto ex-amante.
Ritorniamo alla fiducia nell'amore, alla voglia di investire in una nuova storia dopo relazioni abbozzate, cadute, sfracellate per varie e più o meno evidenti ragioni. Rispondo a CG e alle lettrici: sì, credo valga la pena comunque di investire e buttarsi, credo che l'amore contenga il mistero della rinascita e della felicità, fuso insieme al dramma e all'imprevedibilità più assoluta. In fondo, dopo il povero cretino ho incontrato un uomo meraviglioso, una specie di miracolo, che ha saputo restituirmi dolcezza e passione senza la necessità di provocare inutile dolore. Però. Se dalla ferita della perdita di qualcuno che amiamo possiamo senza dubbio guarire, la ferita della delusione non rimargina mai completamente. Incredibile a dirsi, non ho ritenuto di dovere perdonare il nuovo amore del povero cretino (aveva il diritto di innamorarsi, come avrà il diritto di disamorarsi dieci, cento, mille volte), ma non potrò fare a meno di ricordarlo come qualcuno che non ha avuto coraggio, e che volontariamente ha provocato un dolore non necessario. Qui, proprio in questo insignificante dettaglio, la fiducia vacilla. E non sono pronta, brillante e schietta come una volta nel rispondere ale domande di CG e di altre lettrici.
Una di loro, una di queste lettrici, pone una domanda in particolare. "L'uomo che mi interessa è sposato, e ha avuto altre amanti in passato. Come posso essere sicura che non tradirà anche me? Dice di non essersi mai trovato tanto bene con una donna, ma devo credergli?". Cara FM, mi chiedo ogni giorno il motivo per cui queste domande vengano poste a me (i miei libri non sono l'esempio limpido dell'esperienza positiva in amore), tuttavia so di avere ragione quando dico che l'uomo che ti interessa tradirà te e qualsiasi altra donna avrà in futuro, e no, non dovresti credergli. E' uno schema: lo ripeti tu e lo ripete lui, come in un copione. Esistono uomini che tengono aperte molte porte e non sanno chiuderle, ne esistono altri che vivono con il bisogno di moglie e amante, e ce ne sono alcuni che, dopo anni di totale infedeltà, provano la strada della relazione serissima: questi ultimi si infilano il paraocchi, tirano dritto finché capita qualcosa che li fa cadere. E dopo la caduta non trovano più la strada. Comunque. Non fidarti del'uomo che ti interessa, ma decidi per te. Sii libera, prendi la vita nelle mani e vai avanti. Chi ha detto che non si debba amare un uomo che, prima o poi, tradisce? Stai attenta però a non farti troppo male, metti te stessa prima di lui. Sempre.
Oh, che impressione. La posta del cuore sta diventando davvero "l'angolo Liala": chissà come sono contenti i miei colleghi che parlano invece di massimi sistemi! Ma cosa volete farci, ho questa fissazione di rispondere a tutti,lo faccio in privato e, qualche volta, anche nel blog. Soprattutto, me ne frego altamente di ciò che pensano i nasini ritorti in su.
Un gentile lettore insiste nel mandarmi email pornografiche con descrizioni dettagliatissime dei nostri improbabili, futuri rapporti sessuali. Grazie anche a Lei, è tenace e fedele in questo autoerotismo comunicativo, ammetto che nell'ultima lettera le fantasie erano meno banali e un tantino migliori delle precedenti, però non riesco proprio a vedere un futuro per me e Lei insieme. E non lo vede neanche Lei, sono certa. Sarà per un'altra vita.
Moltissime lettere riguardano "Diario di melassa". Sono lettere di donne, ma c'è anche qualche uomo, che hanno sofferto o soffrono di "binge eating disorder". Come me. Questi lettori dicono di sentirsi capiti, di leggere nelle poche e scarne pagine del libro la descrizione di ciò che accade davvero, al di là e oltre la retorica di scrittori che tentano di dipingere i disturbi alimentari come malattie poetiche e tormentose con un filo di romantica poesia. Nessuna poesia, il binge eating disorder fa schifo. Mangi tutto, mescolando sapori che non senti e buttando giù senza masticare, rischi di soffocare nella cioccolata mista al prosciutto crudo e maionese, e fai in fretta, sempre più in fretta, ti nascondi anche quando sei sola in casa, poi ti senti il peggio del peggio, lo scarto abietto e inutile dell'umanità, ma non puoi fermarti. Il mondo ti guarda, se ingrassi a dismisura come è capitato a me ti osservano con un punto interrogativo sulla fronte e chiedono "Ma tu che sei così intelligente, perché sei grassa? Basta solo smettere di mangiare".
Basta solo smettere di mangiare.
Altra frase che fa il paio con quella del povero cretino, qualche paragrafo più su. No, che non basta smettere di mangiare; o forse sì, basta quello, ma da soli non si riesce! Perché tutto passa attraverso il cibo, la dolcezza, la voglia di amore, il sesso, la rabbia, la nostalgia, la noia. Il cibo è amore che non c'è, è il tentativo di riempire una voragine nerissima che, fatalmente, non si riempie mai, resta vuota e sempre più grande, nonostante le tonnellate di roba informe, a volte perfino scaduta, che si butta dentro. Il cibo, per chi unisce al disturbo il ricordo di molestie sessuali, è il modo per respigere attenzioni malsane oppure sanissime ma difficili da accettare, è il modo per coccolare se stessi perché le coccole umane non bastano, oppure non si riescono ad accettare. Il cibo è nemesi e priorità assoluta. E questa è una MALATTIA.
Il binge eating disorder è una malattia. Notizia buona per chi ne soffre perché, come è capitato a me, si può chiedere aiuto. Non so se si possa definire guarigione ciò che accade dopo, quando l'aiuto professionale porta a stare meglio: guardate le mie foto in tempi diversi della vita, capirete che il cibo è rimasto una reazione spontanea agli eventi belli e brutti che capitano, però è possibile conoscere se stessi e imparare a salvarsi, a limitare i danni. A fermarsi, là dove per anni non siamo stati capaci di farlo. Ciò che mi auguro è che "Diario di melassa" dica che si può migliorare, e stare molto, molto meglio. Non era nelle mie intenzioni dare un senso al manoscritto: quando scrivo non ho finalità etiche o terapeutiche, metto giù quello che l'istinto e la ragione vogliono, però ho capito, grazie a chi ha letto il libro e ha voluto condividere con me le proprie impressioni, che raccontare qualcosa di sè a volte può fare sentire capiti, incoraggiati. Può fare sentire più leggeri, in tanti sensi.
Concludo con altre lettere, pesanti e dense di dolore. Qua e là, non solo in "Diario di melassa", ho parlato di incesto. E la cosa ha creato rabbia, dolore, empatia, insulti, voglia di confessioni epistolari. Penso che l'incesto sia abnorme, mi succede di accorgermi che tanta gente arrivi al mio blog digitando sui motori di ricerca "racconti erotici in famiglia, con cognate, figli, sorelle, madri". Questo mi rende triste, ma fa anche tanto pensare. Il confine tra incesto e attrazione sessuale casuale, involontaria, caduta addosso senza premeditazione è sottilissimo. Giudicare a priori è sbagliato. Però il problema esiste, e crea sofferenza. L'incesto viene nascosto, ma spesso percepito ugualmente: si sa e non si dice, si fa tutto per coprirlo. Ma, di notte, si controllano i siti che pubblicano racconti e video pornografici per cercare la trasgressione massima: ho visto molti siti del genere, succede spesso che vada a vedere perché in un prossimo romanzo racconterò parte dell'esperienza con queste letture, e ho capito che tuonare con aria pontificale non basta, non è la soluzione. A chi mi ha scritto non ho risposte intelligenti da dare, se non che, forse, la repressione sessuale palpabile di una società che usa internet, ha a disposizione tecnologia da sogno e apparentemente è riuscita a raggiungere il massimo della libertà, sia ancora troppo pesante. Si cerca di trasgredire almeno a parole, o nella lettura, distorcendo il significato di una parte meravigliosa della vita: il sesso. Niente di più naturale, istintivo e appagante del sesso. Eppure, come per il cibo, anche per il sesso esiste il disturbo, l'abbuffata patologica che scompensa e colpisce duro.
A proposito. Qualcuno ha chiesto come mai scriva racconti erotici. Non esiste un motivo che riesca a spiegare. Considero il sesso una realtà stupenda, necessaria, superflua negli atti per chi non desidera o non può viverlo, ma integrata radicalmente nell'essere. Mi piace scriverne, in alcuni momenti. C'è il momento per scrivere il sesso, e il momento in cui il sesso proprio non fa parte della scrittura. Succede che ironizzi descrivendo situazioni eccitanti, al limite del pornografico, oppure che sia serissima e intenzionata a parlare di relazioni che stimolano la mia fantasia. Succede che non trovi motivo per non parlarne, che non veda il male (no, proprio non lo vedo) o la "caduta di stile" (alludo alla lettera di CC): perché il sesso dovrebbe fare cadere lo stile? Lo stile cade se la scrittura è brutta, ma non è certo colpa dell'argomento! Chissà perché, la domanda più frequente è se i miei racconti siano tutti vita vissuta: volete sapere se trascrivo le mie avventure per la gioia dei lettori e per il narcisismo inevitabile di ogni scrittore? Certo, ogni pezzo di scrittura è vita vissuta da qualcuno, e lo scrittore nemmeno lo sa: non racconto la mia vita sessuale (forse) e neanche quella di persone che conosco, racconto situazioni possibili, probabili, realistiche o meno, ma concrete. Da qualche parte, in qualche luogo. Non è importante, per me. E' chiaro che conosca il sesso, ma anche nei racconti erotici, come nel resto delle cose che scrivo, ritengo che la mia vita sia per niente interessante: trovatemi dove vi pare, forse ho fatto ciò che scrivo o forse no, non è questo che davvero conta.
Concludo, ora, davvero. Ritornerò con altre lettere più avanti.
A tutti, tutti voi, un sorriso e un grazie incredulo e felice: ricevere le vostre parole, qualunque sia l'argomento, è una parte del mio essere che regala emozioni importanti. Mi rendete un po' migliore.
Vediamo cosa viene fuori. Mi sono seduta, ho acceso il computer per rispondere alla posta di oggi (rispondo a tutti, o quasi), poi ho pensato di scrivere altro qui nel blog.
Ho lasciato da poco IEO, salutando un'amica molto bella che, come un fungo raro e prezioso, è saltata fuori da qualche tempo e mi ha arricchito la vita, e ho guidato fino a casa. Pochi chilometri, con la testa a puzzle sul viaggio di domani a Livorno (venerdì sarò a un congresso e parlerò di diritti del malato oncologico), su due o tre persone con problemi particolari visitate questo pomeriggio, sul mio esofago in fiamme da questa mattina e sulle lettere che sto ricevendo negli ultimi giorni. Perché mi scrivete, e mi stupisco. E sono contenta e curiosa.
Sono contenta perché mi piace lo scambio, mi piace chi parla invece di restare in silenzio. Niente a che fare con la caciara, quella va bene per le serate su di giri insieme alle amiche; alludo al dialogo, alle parole messe una dietro l'altra per dire, spiegare, chiedere e capire. Chi mi conosce sa che soffro molto quando qualcuno si sottrae al confronto e al dialogo: tacere quando si può invece parlare (o scrivere) è per me una specie di ferita, a volte anche un'offesa. E' illogico, va contro l'intelligenza, ma accade. Si tace, e si lascia intendere. Accettando il rischio che l'altro capisca il contrario o interpreti male. Insomma, si buttano via occasioni. Comunque, ritorniamo alla posta che ricevo. Una donna che scrive racconti erotici ha detto in una lettera lunga e interessante che le sembro equilibrata e calma, nonostante scriva erotismo e faccia intuire tristezza e una vita sessuale tumultuosa: pacatezza, calma, equilibrio, tutto vero. E' ciò che spesso si percepisce di me. Credo siano tutti aspetti reali della mia personalità, altrimenti non saprei mostrarli sul serio. Mi aiuta la professione medica, credo: è difficile pensare di lasciare andare, di esprimere le insicurezze e il pathos quando si ha a che fare con la malattia seria, pericolosa e traumatica di tante persone. Il medico dovrebbe essere pacato e rassicurante con me, quindi voglio a mia volta rassicurare. Senza fingere, con la genuina serenità che so trovare dentro di me. Perché esiste. Con chi amo, con gli amici penso di essere calma e rassicurante, in molte occasioni. Certo, cara scrittrice erotica che mi ha mandato una lettera bellissima, qualcun altro ti direbbe che è vero il contrario: sono esplosiva e umorale e ho davvero, come dici tu, una vita tumultuosa. Vero, vero anche questo. E' la doppia identità cui alludo, più o meno, nell'intervista rilasciata a Gian Paolo Grattarola e pubblicata su Mangialibri. E, a proposito, ecco un'altra brevissima lettera, di un uomo che conosco e mi piace molto (anche se tace troppo, deludendomi): dice che la fotografia di Mangialibri è sdrucita (l'avevo definita io così), ma esprime dolcezza e insicurezza. Eh, sì. Le fotografie non mentono. Dolcezza (nascosta bene) e insicurezza (nascosta mica tanto). Hai ragione, caro e silenzioso potenziale amico.
Andiamo sull'erotico. Ho ricevuto qualche email particolarmente ispirata in questo senso. Mi sono divertita. L'equivalenza tra scrittura erotica, cioé scrittura di qualche racconto erotico, e disponibilità non vale, sapete? Come spiegavo a un interlocutore galante il cui viso non conosco, i partner non si cercano, si trovano. Scrivere erotismo non implica la ricerca di un uomo, una donna, una coppia, un trans. Insomma, non implica la ricerca del partner sessuale di una notte o una vita. Scrivere è scrivere, e basta. Perché io scriva erotismo è impossibile da dire, la scrittura non va spiegata. E', e basta. La dovizia di particolari con cui un lettore, che si firma con nome e cognome (corrispondono anche nell'indirizzo email quindi li prendo per veri) descrive ciò che vorrebbe farmi mi fa sorridere, ma senza ironia: mi sono veramente divertita, è stato molto simpatico, chissà se la sue proposte mi piacciono oppure no, non è importante. Certo, ricevere una lettera così può lusingare, ma quando è il primo approccio in assoluto, senza un preambolo o un preliminare non erotico, è un po' difficile lasciarsi affascinare. Un uomo che scrive a una donna "ti farei così e cosà", con i termini più espliciti e chiari per posizionare anatomicamente i gesti immaginati, sta senza dubbio scherzando, allora rido insieme a lui. Chapeau, ardito interlocutore con nome e cognome. Altro lettore, altra lettera: che poesia l'uomo che mi manda pezzi musicali perché mi ispiri quando scrivo! Grazie, la musica mi stacca dal contesto e trascina via, riesce a crearmi e farmi creare.
Creare. Tre lettori chiedono come abbia scoperto la scrittura, come sia arrivata a pubblicare. Non voglio evitare l'argomento, ma credo che l'intervista pubblicata su Mangialibri sia molto chiara. Gian Paolo Grattarola ha posto domande interessanti e puntuali. Aggiungo solo che scrivere, scrivere, scrivere è un segreto di Pulcinella che vale in ogni caso: la scrittura pretende e ruba, ma regala anche tanto. Va esercitata e limata, piegata, ristretta oppure sviluppata. E la lettura, anche, è un altro segreto che credevo scontato, invece va ripetuto, ribadito ogni volta che si può: leggere arricchisce lo stile e l'anima, non potrei concepire una vita senza lettura. Una gentile lettrice insinua che il mio stile sia imitato da altri scrittori: può darsi, anzi sì, è vero, ed è vero anche, come tu dici, che qualcuno imita le fotografie (posa, luce, dettagli), il modo di parlare, perfino il mio feticismo del piede ormai arcinoto, con la passione assoluta per manicure e pedicure perfette. Vedo tutto, le vibrazioni del mio corpo ormai sono chiare, le so leggere e interpretare. So moltissimo, anche quando fingo di no. So l'invidia, la fuga di chi ha paura del mio carattere mutevole (sono una donna "impegnativa", pare), so il pettegolezzo, l'amore e il disamore. So chi mi ha usata, purtroppo. E so l'imitazione. Non ha importanza, chissà quante volte sono stata io a imitare qualcuno senza rendermi conto! Cara amica, da anni lavoro con uno scienziato che è genio assoluto: lo imitano in tanti, ma l'originale è irripetibile. Io genio non sono, ma alcuni tratti della mia follia possono essere scimmiottati o resi migliori da altri, chissà, ma mai riprodotti uguali. Inoltre, l'imitazione si percepisce. Come l'hai percepita tu.
Mi scrivono molte donne che mi conoscono in IEO. A loro devo gratitudine perché mi insegnano a vivere. Detesto la retorica: alcune di loro sono simpatiche, altre irascibili, rissose, fredde oppure scostanti, ma tutte sanno che esistono segreti nel fondo dell'esistenza. Li hanno toccati quando hanno conosciuto la malattia, e sanno che riesco a vederli, quei segreti. Grazie anche all'uomo molto "importante" che mi ha lasciato una lettera sulla scrivania in IEO: ha parlato di "Diario di melassa" e mi ha commossa. Ogni tanto prendo penna e carta da lettere, inizio e lascio lì. Vorrei rispondere a quella bellissima lettera, dire che ci sono sorprese, parole scritte inattese che danno senso a tutto. Ma sono sicura che lo sappia.
Andiamo alle critiche. Sono istrionica, ho un ego enorme, dice un anonimo. E' vero, sono scrittore quindi devo essere così. Non credere mai, amico anonimo, alla mite ritrosia dell'autore: scrivere e pubblicare è esporsi, si accetta di farlo senza una pistola puntata alla tempia quindi qualcosa nella psiche lo rende possibile. E desiderabile. Non credere all'umiltà, è l'atteggiamento più millantato in assoluto. Tra gli scrittori, poi... Devo ancora incontrare una persona realmente capace di umiltà. Anzi, non è vero: una la conosco, è il medico più colto che conosca, ed è donna. Lavora all'Istituto dei Tumori di Milano. Non vado oltre perché non gradirebbe: è, appunto, realmente umile d'animo nonostante la genialità.
Bene, mi sono sciolta in frasi e parole. E' stato bello. Non ho esaurito la corrispondenza, chissà che non ritorni a parlare con i miei amici di penna qui nel blog. Vi saluto e passo ad altro, e preparo una piccola valigia per la partenza, domani.
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