racconti, fiabe, romanzi a puntate, pensieri e pezzi di parole
(i testi pubblicati in questo blog e le fotografie sono di esclusiva proprietà dell'Autrice)
AAVV: RAC-CORTI - Il chiama angeli Il mio racconto "Il chiama angeli" nell'antologia RAC-CORTI di Giulio Perrone Editore 2008
AAVV: EROS & AMORE - La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila Il mio racconto "La penombra di un ufficio e un ascensore che sibila" nella sezione EROS di "Eros & Amore" di ArpaNet, 2008
"I racconti delle bacche rosse": Lampi di Stampa Editore, I Platani Narrativa, 2008 Il secondo libro di fiabe
AAVV: CONCEPTS PROFUMO - La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane Il mio racconto "La piccola casa di legno, e quel profumo. Fragranza e mistero di notti romane" nella raccolta "CONCEPTS Profumo", Edizioni Arpanet 2007.
"Una storia ai delfini": Edizioni Creativa, 2007 il mio primo romanzo
AAVV: CONCEPTS MODA - La donna vestita di fiori Il mio racconto "La donna vestita di fiori" nella raccolta "CONCEPTS MODA", Edizioni ARPANet 2007
Luciano Comida Ho la fortuna di amare e di essere amato: faccio lo scrittore, il giornalista, l'impiegato statale, leggo, ascolto rock e jazz e classica, guardo cinema e teatro, tifo Toro, sono valdese.
Michele Crismani Ho tredici anni, non mi piace tanto la scuola (anzi proprio per niente). Invece mi piacciono le ragazze, il calcio, il rock (sia ascoltarlo che suonarlo), i film, mangiare patatine fritte di sacchetto, bere coca-cola e tirare dei rutti che scandalizzano mio papà e mia mamma.
Calogero Miceli poeta, presepista, scrittore e sceneggiatore emergente. Prova a fare anche lo studente in scienze della comunicazione. Vivo ogni giorno intensamente perchè considero la vita un grande dono e perchè in essa ho ricevuto il dono della poesia.
Cantastorie errante ...ogni cosa è intorno al nostro essere, sta a noi saperla vedere ed appropriarsene per donarla agli altri
Fa un po' impressione. Sto cercando frasi adatte e non le trovo. Questo blog è la storia del mio rapporto con i lettori, è stato l'inizio della parte della mia scrittura condivisa con la gente. Mi ha portato i primi contatti con gli editori e relazioni umane che vanno oltre e al di là dei libri. E' più di uno spazio, più di un giornale online: è luogo di scambio, scoperta e discussione continua. E adesso trasloca. Nella rivoluzione dei quarant'anni e della vita, metto in valigia quattro cose e parto.
Da oggi, niente più post in questo blog: con i miei racconti, con i pezzi di parole e i libri, e le fotografie, vado nel nuovo sito internet. Proseguo il cammino là, questo è l'indirizzo:
Vi aspetto nel sito internet, quindi, basta fare click e memorizzare quell'indirizzo: pubblicherò là, nella sezione blog, tutto ciò che di nuovo mi verrà da scrivere, e potrete lasciare commenti esattamente come avete fatto qui.
Il Comune di NOVELLARA ha sempre accolto la mia scrittura con l'entusiasmo e la disponibilità dei veri amici. L'amica Ebe Mirka Bonomi, che insieme a me ha incontrato più volte i lettori rendendo i reading indimenticabili grazie all'interpretazione unica, è presenza costante e stimatissima in questo blog.
Ringrazio con amore Ebe Mirka e il Comune di Novellara per l'amicizia e per questo grandissimo dono: l'8 marzo insieme alle mimose le donne di Novellara riceveranno dal Comune "Le parole del buio", il secondo romanzo che ho pubblicato con Creativa nel 2008.
sarò in diretta con Nicoletta Carbone a "Essere e Benessere", su RADIO24.
Parleremo di "Diario di melassa" e di cibo: quale rapporto abbiamo con il cibo? Cosa rappresenta per noi? Potete proporre argomenti e riflessioni in tema inviando un messaggio email a [email protected], oppure lasciando commenti nella pagina Facebook dell'evento.
Un'altra notizia per me bellissima è che Sara Caminati e Innovation Marketing hanno creato per me un sito totalmente rinnovato. Li ringrazio di cuore e vi invito a vedere:
Non serve dire che scrivere erotismo mi piace, lo sapete. Probabilmente è anche superfluo raccontare che Giulio Perrone è tra gli editori del mio cuore: l'ho detto qua e là e l'ho dimostrato partecipando volentieri alle iniziative di questo editore. L'ultimo piacere che ho deciso di regalarmi è stato il racconto erotico "La sua presenza, fuori" nell'antologia "Danzando nel sapore dell'uva", in uscita oggi per Perrone LAB.
Impresa difficile, questa recensione passionale. Che recensione non è, ma un commento lungo a voce alta, con il sapore del libro ancora sulla lingua. "La vita, non il mondo" è l'opera edita più recente di Tiziano Scarpa, impossibile da sintetizzare in una trama. Perché non ha trama, in effetti: potrei dirvi che il titolo è tutto, un condensato di significati diversi e il senso delle pagine brevi, ciascuna con mille caratteri al massimo, che affrontano fulminei oppure lenti, musicali o cacofonici, emozioni, esperienze, incontri, riflessioni e amori di un autore che per la prima volta vediamo quasi nudo. Fermi, conosco l'obiezione: l'abbiamo visto nudo tante di quelle volte... E qui sta una delle sorprese più grandi: il percorso dei capitoli che si inseguono rapidi con una scrittura che in qualche momento mi ha commossa di piacere quasi fisico racconta Tiziano Scarpa adulto, con la testa (calva) aliena rispetto a pochi, pochissimi anni fa. All'improvviso, la profondità che abbiamo sempre sospettato esistesse ma che si tingeva dei colori più assurdi con le invenzioni roboanti dell'esagerazione, del sesso, della risata sarcastica sull'amore, ci si svela facile, evidente. E ci lascia increduli. Non dobbiamo più intuire e sentirci più intelligenti della media per capire che Tiziano sa amare e praticare la fedeltà, riconoscere l'incanto e gioire di ogni banale istante della vita: lo possiamo quasi toccare, in questo libro, quando si ferma a osservare il cadavere di un uccellino e lo mette poi sotto terra in giardino "per proteggerlo con un po' di silenzio", non abbiamo bisogno di immaginare che abbracci la sua compagna e si commuova per un istante, schiacciato dal'amore, non siamo più costretti a sentirci pazzi nel vederlo intenerito di fronte all'ingenua verità dei bambini o a una pagnotta tagliata a metà che è il simbolo più bieco (più tenero) della stupidità degli innamorati. A proposito di questa pagnotta, andate a leggere la parte che la riguarda: ho ricordato la raccolta di racconti "Amore" e sono stata incerta se ridere o piangere; non voglio, non posso descrivervi qualcosa che va gustato nel silenzio, ma la stupidità di tutti noi, presi dall'amore, salta la barriera dell'ironia e diventa poesia. Sfogliamo e accarezziamo pagine che non hanno più lo strappo esagerato della provocazione, riusciamo a intuire che l'anno di nascita dell'autore (1963), e la consapevolezza di ciò che adesso un pubblico molto vasto si aspetta da lui, hanno creato l'inevitabile, meraviglioso mostro dell'uomo fedele, che parzialmente (bisogna dirlo) rinnega la sprezzante libertà che tutti grazie a lui abbiamo sognato. Tiziano ci ha illusi a lungo, adesso ci spiega che prima o poi si cambia. E riesce a convincerci, nonostante il piccolo, ineliminabile dubbio che dietro il mio orecchio destro sussurra che forse la mano un po' pesante sulla melassa vada a beneficio degli occhi della compagna. Ma evitiamo i gineprai. Mi sono fermata spesso, durante la lettura: ho resistito alla tentazione di sottolineare con la matita grossa le meraviglie, se l'avessi fatto avrei riempito di sottolineature il libro, ma ho anche riso e scosso la testa a intervalli regolari, incerta se rimpiangere la libertà che credevo assoluta in un uomo senza dubbio superiore a tanti altri oppure commuovermi per la bellezza dell'impasto arte-scrittura-amore-casa-resa. Resa, sì, la resa di chiunque, prima o poi. La resa di Scarpa, anche. Ci fa un regalo, Tiziano: ci lascia guardare nella sua vita. Ci permette di seguirlo nei viaggi e nell'incanto dell'arte e della musica, condivide con noi lo stupore per i neuroni che assomigliano a anemoni e non ce la fa a scandalizzarci con uno dei suoi classici refrain: perfino quando si lascia andare all'autocitazione del passato e descrive il sesso con la sua compagna che ha le mestruazioni la smorfia divertita sorge solo a metà. Perché c'è amore, anche lì, e non sappiamo se dire "Sei invecchiato" oppure "Finalmente". Che libro, ragazzi. Non trascrivo qui i pezzi di bravura, andare a comprare il libro perché non può mancare in casa vostra, ma la scrittura è superiore a... Non voglio dirlo, è superiore a tanti altri libri che ho amato. Da estasi, in qualche momento. Mettiamola così: se la caduta dell'eroe libero e romanticamente selvaggio un po' mi toglie il respiro, la scrittura mi incanta. E dirò in chiusura ciò che io stessa ho inventato quando recensivo per Mangialibri, e ho riservato a pochissimi (Massimiliano Parente prima di tutti). Tiziano, chapeau.
Mi chiedo cosa sia una vittima. Cosa significhi essere vittime.
A un incontro con i lettori a Rimini, mesi fa, abbiamo discusso di quanto (e se) la pedofilia possa essere oggetto di prevenzione. "Diario di melassa" affronta anche questo, la pedofilia e le conseguenze su chi la subisce: ecco il perché della discussione, nata spontanea e forse ovvia nel contesto dell'alternarsi domande-risposte sul libro.
La prevenzione della pedofilia è necessaria, sottovalutata e, purtroppo, destinata a un certo grado di fallimento a priori. Spero di riuscire a spiegare perché.
Dedico qualche riga al carnefice. Salvo casi eclatanti, è subdolo e apparentemente irreprensibile, il più corretto e probo degli uomini (o delle donne). In più, fa spesso parte della famiglia o della ristretta cerchia di amici: ho visto, so cosa significhi sapere e tacere, il marcio della perversione pedofila il più delle volte è rifiutato dalla consapevolezza (dalla dimensione conscia di chi potrebbe intervenire) anche quando intuito o intuibile, oppure nascosto a priori per evitare lo scandalo o i traumi (per gli adulti), le separazioni, le liti. Mentre i media ululano che la pedofilia vada identificata con tempestività, le famiglie coprono, ignorano, voltano gli sguardi altrove. Oppure inventano patetiche ragioni per il comportamento patologico di alcuni irreprensibili (insospettabili) componenti. Dico l'ovvio, fino qui, ma la verità è che si arriva a giustificare la pedofilia in alcune forme perché "solo molestia leggera", senza considerare che per un bambino la molestia leggera è, di fatto, violenza.
Pensiamo alla vittima, però, e spostiamoci dall'ovvio.
La vittima della pedofilia entra pesantemente nella successiva prevenzione perché può reagire in modo poco prevedibile a ciò che ha vissuto nell'infanzia e adolescenza. Nell'immaginario, la parola "vittima" rimanda a pianto, dolore, sofferenza e compatimento. Fa pensare a qualcuno che abbia ricevuto torti, violenza, offesa, e debba conseguentemente ricevere un po' più di affetto, un po' più di attenzione, forse un po' più di pazienza. Poche volte ci si concentra su quanti danni psicologici la vittima abbia ricevuto e strutturato dentro di sè: soprattutto se bambina (o bambino), la vittima viene plasmata dall'accaduto e se lo porta dietro, lo rende parte del proprio modo di vivere, amare o non amare, reagire e desiderare. Non sempre lo sviluppo della personalità va verso la serena e triste accettazione della violenza ricevuta, con il fermo proposito che il ricordo di eventi traumatici non causi ulteriore violenza. Non sempre, soprattutto, si hanno gli strumenti e i mezzi per chiedere aiuto. Quando impari da bambino a leggere il sesso come gesto di complicità e amore con il pedofilo (cosa sia l'amore ti viene insegnato dalla vita, non certo dalle parole degli educatori), l'atto sessuale assume significati che per la persona fortunatamente libera da ricordi di violenza sarebbero impensabili. Ciò che è torbido, duplice, connivente e sadomasochistico entra a fare parte di un orizzonte misto paura-repulsione-desiderio, si scambia facilmente l'erotismo per l'unica manifestazione possibile dell'amore. E, nei casi peggiori, si assume il medesimo atteggiamento del pedofilo conosciuto nell'infanzia, per un senso di rivincita, di vendetta postuma, ma anche di malsana passione assorbita con i gesti, e con l'impasto putrido di complicità e perversione acquisito nei primi anni di vita.
Il pedofilo (uso il maschile intendendo uomo o donna, indifferentemente) è spesso parte della ristretta cerchia familiare, o di quella degli amici fidati: se coinvolge un bambino o bambina in giochi erotici che millanta con amore o "amicizia segreta e particolare" crea il duplice danno della sofferenza fisica e della maledizione eterna di non conoscere più la differenza tra amore e tortura. Il bambino molestato cresce convinto di avere ricevuto attenzioni particolari e molto preziose in quanto essere speciale, non riesce a vedere che ogni dettaglio, anche il più insignificante, è stato solo il frutto di un'orrenda e brutale violenza fisica e psicologica. Rischia, successivamente, di vivere e desiderare il sesso come una ripetizione di ciò che nell'infanzia ha suscitato brivido, emozione confusa ma fortissima, intimità indicibile con qualcuno che "amava". Rischia di infilarsi in reazioni che ricalcano il rapporto vittima-carnefice, senza esserne consapevole, trasformandosi in vittima (ancora) oppure carnefice, incapace di fermare quella che, secondo me, non è altro che l'eterna ripetizione dell'orrore. Si resta vittime anche da adulti, a meno che non intervengano persone esperte che riescano a fermare un copione che è condanna.
Qualcuno all'incontro di Rimini ha detto che la pedofilia dovrebbe essere combattuta con la prevenzione. Ho seri dubbi sulla possibilità di prevenire un orrore che troppe volte fa parte della famiglia: come dicevo all'inizio, è difficile se non impossibile accorgersi della perversione di un fratello, una sorella, padre o madre, nonno o nonna, e ancora più difficile è affrontare il problema quando i segnali vengono percepiti e la verità rischia di rompere equilibri di affetto e immagine costruiti negli anni. Si ignora perché si desidera farlo, perché è la via più facile e accettabile per tutti. Perfino la vittima tace, anche quando prende coscienza della situazione (e ciò non accade subito, almeno non sempre). La vittima sa che non dovrà parlare, e se lo farà non verrà creduta, e se anche verrò creduta provocherà dolore. Il dolore dei genitori, dei parenti, di chiunque sarà colpito dall'evidenza di un vizio malato difficile da affrontare.
"Se parlo succederanno cose brutte, e sarà tutta colpa mia". "Forse ho sognato e frainteso, forse sono stata io a provocare l'interesse della persona che mi ama tanto e accuserò ingiustamente". Mi sembra di sentire i pensieri di queste vittime silenziose, che strutturano dentro di sè la colpa e la infilano a forza nella propria personalità, tirando fuori la rabbia molto dopo, con manifestazioni che niente hanno a che vedere con il motivo vero. Quello che avrebbe dovuto essere stroncato sul nascere da chi poteva.
Vittima. Povera, triste vittima.
Vittima. Pericolosa, triste vittima.
Mi è stato chiesto cosa mi aspetti da "Diario di melassa", che affronta il disturbo alimentare e la pedofilia. Ho risposto, e rispondo qui ora, che non è altro che un libro. Esistono decine, centinaia di altri libri su questi argomenti: alcuni hanno dentro la verità, cioè l'ambiguità profonda e disperante di chi davvero sa cosa significhi essere vittima, altri sono invenzioni. E' vero però che il silenzio totale che cade, cristallizza tra i lettori alle presentazioni di questo libro in alcuni momenti, e le testimonianze successive, a tu per tu, e le decine di email che ricevo mi regalano la flebile speranza che un libro in più possa servire a aggiungere voce. E' la stessa flebile speranza che ho sentito a Pontedera nell'ottobre 2009, quando ho presentato per la prima volta il libro al Festival organizzato da Librialsole e Tagete Edizioni. Non ho soluzioni, non ho scritto "Diario di melassa" con l'intento di proporne: avevo in mente di raccontare, l'ho fatto. Non aprirò gruppi anti-pedofilia sui social network, non mi sento in grado e avrei sempre la sensazione di essere fraintesa. Sono uno scrittore (anche qui uso il maschile, mi piace di più: è un termine globale, ha dentro uomini e donne) che ha voluto, e vorrà ancora, parlare di pedofilia e incesto. Posso raccontare cosa accada a una donna che ha sofferto pesantemente di binge eating disorder e, forse, conosce le conseguenze torbide della pedofilia. Posso, probabilmente, dire a chi si sente solo che l'aiuto esiste, e funziona. Posso testimoniare che si incontrano persone meravigliose in grado di capire, e persone aride che chiedono la cortesia di evitare alcuni argomenti. Oltre non voglio andare.
Vittima. Cosa è una vittima? E' una bomba inesplosa che ha dentro un buco orrendo, ecco cosa penso. Non merita pietà speciale quando provoca a sua volta dolore, va punita se sbaglia, ma avrebbe potuto ricevere aiuto: se non l'ha avuto forse la colpa è anche mia, vostra, nostra. Per ritornare a qualche paragrafo sopra, dicevo che in teoria la vittima dovrebbe ricevere più affetto e pazienza, ma non lo penso sul serio: di recente qualcuno che mi vuole bene ha detto che in una determinata occasione sono stata trattata malissimo proprio da chi sapeva cosa ho vissuto nel passato, e questo è ingiusto. No, non è ingiusto. Succede e basta. In fondo, è segno di normalità. Non esiste ragione per cui la gente debba usare con me tenerezza quando non ha voglia di farlo. La vita è questa.
L'intervista di MariaGiovanna Luini a Tiziano Scarpa, vincitore del Premio Strega 2009 con il romanzo “Stabat Mater”, pubblicata sulla rivista Gender.
Lo scrittore si confronta con gli aspetti psicologici necessari per descrivere la personalità di un’adolescente, la tecnica con cui scrive le proprie opere, la possibile differenza tra scrittura maschile e femminile, il potere terapeutico della creatività dopo un trauma o una malattia, i consigli letterari e - perché no - con il seno femminile.
Nel 2009 ha vinto il prestigioso Premio Strega con il romanzo “Stabat Mater” (Einaudi), ma nel curriculum ha tanti libri unici e indimenticabili (cito per tutto “Kamikaze d’Occidente”, Rizzoli): è scrittore, poeta, autore teatrale. Soprattutto, e questo forse dai libri può non apparire immediatamente evidente, è un uomo di profondissima comprensione dell’anima.
CARA MARIAGIOVANNA, ieri sera il vicino mi ha consegnato il tuo terzo romanzo (?) "Diario di Melassa.Anche se tardissimo l'ho letto in un respira-butta fuori l'aria.Brava! Oltre a un'evidente evoluzione stilistica,affronti temi importantissimi su cui riflettere.Hai trovato il giusto distacco per guardarli in faccia con criticità e umana pietas.E non ti è mancato il coraggio per ammettere realtà colpevoli per superficiale responsabilità voluta o restata a metà del cammino per oscuri meccanismi di difesa (?) o di demoni mai veramente visti e tenuti a bada.Un grande impatto emotivo è ciò a cui io sono stata avvolta prima di addormentarmi (finalmente) appagata dall'ammirazione per te e per una Donna che ha trovato la fierezza della DIGNITA' che non sbraita ma dice.Auguri.Con "questo" aiuterai molte/i a uscire dal guscio e a NON avere paura di dire attraverso l'elaborazione difficile e dura del dolore trovando il "nuovo" pieno di sè l'orgoglio per non essersi arresi.Ti abbraccio. Mirka Bonomi
“…la parola scritta … era dentro di me, un bisogno che avevo afferrato prima di ogni altro …” (p. 23)
DIARIO DI MELASSA è un singhiozzo sedato.
Privo di odio, privo di rabbia.
Come tutti i singhiozzi, i singulti, i conati si placa nell’espressione di se stesso.
Nella propria verbalizzazione.
Silvia Delaj
"QUESTO romanzo, e lo scrivo in maiuscolo, l'ho sentito veramente MIO. Spiego meglio: è graffiante perchè tratta di problemi che sono radicati nella nostra società.......pedofilia ,tradimento,ansia di essere (per gli altri )quello che non siamo, bulimia e anoressia.....apparenza,indifferenza delle persone e l'inevitabile chiusura degli "occhi"perchè è molto più comodo non vedere il malessere di chi ci è accanto. FAME, tutti noi abbiamo fame di qualche cosa, ma di cosa esattamente? C'è chi ha FAME d'amore,FAME di solitudine ,FAME di sesso,FAME di sapere,FAME di ricordi,FAME di abbracci,FAME d'amicizia, FAME di gioia,FAME di autodistruzione e anche FAME di vita....... sì ,io ,ad esempio ho una FAME furiosa di VITA,la sbranerei in un sol boccone se solo sapessi e avessi la certezza che così facendo la ingloberei dentro di me per non farmi mai e poi mai abbandonare......rendendola mia prigioniera... Riesce sempre a smuovere l'anima,e ora non riesco a placarla ma anche questo è vivere......
Nel vuoto di un treno che corre,
con un compagno di viaggio che non mi piace (non so perché, è ingiusto dirlo:
non russa, non strepita, non sta ore al telefono, eppure non mi piace), lascio
andare le mani sulla tastiera confidando nel silenzio, e l’incipit diventa
“cosa ti aspetti da me?”.
Potrebbe non esserci un seguito.
Potrei lasciare sospesa la domanda e non entrare nel merito, non attribuirla a
un mio moto spontaneo o all’esigenza di un altro, chissà chi, nei miei
confronti. Sono io a aspettarmi qualcosa da qualcuno? Sono altri a farlo con
me? Nel viaggio scialbo verso Milano non trovo la grinta per riflettere, non ho
voglia di ascoltare musica o leggere, ma anche scrivere è difficile. Come se il
silenzio necessario per scrivere non sia gravido di parole, questa volta. Una
sensazione simile a altre, che forse posso ricordare a voce alta.
Capita che osservi
l’allontanamento di amici, e capita che ne soffra: non è piacevole constatare
che alcune persone siano ondivaghe abbastanza da infiammarsi di affetto (o
amore), poi declinare in una sempre più tiepida pazienza fino a trovare altri
fuochi, altri incendi destinati a subire la stessa sorte. Non è piacevole, ma
succede con una frequenza piuttosto alta. Uomini o donne, è uguale: ha ragione
la mia analista quando dice che dovremmo stabilire il destino di una relazione
affettiva osservando il curriculum di chi abbiamo di fronte. Per evitare il
solito, banale can can di allusioni a uomini del mistero avvolti da una nuvola
di fumo, parliamo di donne. Di amiche. Quando un’amica ti si avviluppa addosso,
con molta reciproca soddisfazione, e racconta che la sua amicizia con te ha
provocato il dolore di altre donne, altre amiche che si sentono lasciate al
margine, invece di essere felice dovresti porti alcune domande. Se è incapace
di tenere in piedi più amicizie senza ferirle reciprocamente, cosa farà con me?
Dovrebbe esistere una paratia che si alza automaticamente, ti fa vivere la
relazione con profonda condivisione ma anche un allarme rosso acceso in un
angolo della testa: “attenzione, persona incostante”. Ho avuto la fortuna di
accendere i neuroni su questa consapevolezza qualche tempo fa, prefigurando ciò
che effettivamente poi accadde. Con la gioia nel cuore, posso dire di essermi
salvata: ho assistito rilassata e neanche troppo delusa all’adolescenziale
deriva di un’amica mai cresciuta sul serio. E’ solo un esempio, forse non
utile. Chissà. Perché l’ho detto? Ah, ecco, sono partita dal silenzio non
gravido di parole. Evidentemente non era così: lo era, era gravido e ha avuto
bisogno di una valle di sconforto scriptorio per partorire. Ho paragonato il
silenzio vuoto a ciò che provo in questi giorni nei confronti di dolori ormai
passati, che ogni tanto vogliono rialzare la testa ma si scoprono fuori tempo e
luogo, quasi noiosi. Ci sono volti che, richiamati alla memoria grazie a
automatismi più longevi del sentimento, in teoria dovrebbero muovermi emozioni,
in pratica non riescono a stimolare altro che uno sbadiglio. Che tristezza.
Uno scambio delle ultime ore su
Facebook mi ha mosso pensieri desolanti e desolati sulle banalità che si dicono
a proposito di amore. Mi considero la prima, sono io a stimolare la più infima
banalità: ritorno a casa nel cuore di Roma in piena notte, dopo una sera meravigliosa,
e filosofeggio sul social network senza considerare le reazioni. Dovrei trovare
gli aggeggi elettronici scarichi, quando mi vengono in mente le frasi che
scatenano forum da cioccolatino. Comunque. In uno dei lampi di genio, ho detto
che spesso l’amore patologico (eccessivo) per una sola persona oscura,
cancella, rovina la presa di coscienza di tanti altri amori, magari meno
dirompenti ma drammaticamente importanti. Ho capito però che ogni volta che si
sfiora l’argomento “amore” e si critica in qualche modo l’entità del sentimento
o si stigmatizzano le sue conseguenze, il coro di chi protesta si leva
immediato. L’amore, questo bene assoluto, questa purezza intoccabile,
indicibile, non criticabile! L’amore, che muove la penna ai poeti e agli
scrittori! Macché, togliamo di mezzo queste banalità che io stessa ho
colpevolmente contribuito a alimentare. Non adottiamo assiomi quando si parla
di amore, per pietà. Che l’amore sia meraviglioso in alcune sue fasi, è vero.
Che la sua assenza regali la sensazione di una parte mancante è altrettanto
vero. Ma no, non è vero che tutto ciò che deriva dall’amore sia buono. La distinzione tra amore e
“altro” esiste, ma non ci serve. Possiamo dire che non sia amore ciò che è
patologico: ce la caviamo ipotizzando che sia vero amore solo ciò che è
positivo in ogni propria manifestazione, ma se lo facciamo dobbiamo ammettere
di non tenere conto della realtà. La verità concreta del quotidiano. Siamo
ormai abituati a confondere con l’amore troppi altri sentimenti, e qualche emozione
passeggera: quando la confusione è tanto radicata nel pensiero comune,
puntualizzare aiuta pochi. O nessuno. L’amore, ciò che la media della gente
intende per amore, può fare male: rovinare famiglie, uccidere la fiducia,
diminuire il talento di un artista. Amore, quanto idealismo raccapricciante, in
fondo. Leggete, se avete voglia di volare, “Amore R” di Tiziano Scarpa, Einaudi: è
la migliore e più originale, realistica rappresentazione dell’amore. A me è successo di leggerlo in un periodo della vita drammatico e destinato a cambiarmi: ho trovato il senso vero, quello che pochi hanno il coraggio di guardare e, ancora meno, di raccontare.
E arriviamo alla scrittura,
eccoci lì. La scrittura non ha l’amore come energia di fondo, o meglio: ha
l’amore per la scrittura come parziale energia, ma non altro. Non si scrive per
amore, non si scrive per dolore. Si scrive perché si è scrittura oppure no. Qualcuno dirà che mi smentisco, in
passato ho detto cose diverse. Vero, ma il tempo, lo studio, l’incontro di
persone che della scrittura sanno veramente mi ha svelato aspetti di me (della
scrittura) meno piacevoli da discutere, ma indubbiamente veri. Ho capito che
molte persone non dovrebbero essere pubblicate, perché si può conoscere
sintassi e grammatica e mettere giù una storia gradevole senza essere
scrittori, ho capito che la scrittura, quella vera, è a sé, non ha relazione
con lo stato d’animo e il frangente di vita, non si siede a aspettare quando
arrivano le feste di Natale e si devono avere altre priorità (regali amici casa
albero addobbati pacchetti: sappiate che casa mia è identica a come potete
trovarla in agosto, niente fronzoli che fanno perdere tempo), non dipende
dall’amore o dal dolore. Parlo di narrativa, perché la poesia è altro, tanto
altro da non entrare in questa digressione da freccia rossa fast in ritardo di
venti minuti (il concetto di fast è relativo, come ogni altro concetto). Dovremmo
chiedere a Maeba Sciutti, una delle più grandi, che è poesia vera. Lei potrebbe
dirci se, in termini poetici, sto delirando.
“Ma la scrittura aiuta nei
traumi, nel dolore, nella ripresa dopo una malattia”. Certo, verissimo. La
scrittura è tanto assoluta, piena, enorme e stupenda da salvare psiche e vite. Non
mi stancherò di favorire, esaltare, incitare scritture reattive di persone che
si trovano in frangenti difficili (o drammatici): se la creatività può aiutare,
se può lenire, anestetizzare, esprimere, sfogare un grande dolore mi ha al
proprio fianco per raggiungere ogni angolo del pianeta e muovere i
traumatizzati a una resurrezione. Tuttavia, nel grande mare di scrittori “per
reazione” continuerò a operare distinzioni, cercando la perla, l’elemento raro,
il talento assoluto, dando per scontato che non tutto sia davvero di valore.
Valore scriptorio, non altro valore. La buona notizia però è che, come ogni
altro essere, anche la scrittura può cambiare, evolvere e migliorare. Può
nascere da un abbozzo informe e farsi opera d’arte. Grazie all’esercizio
costante (sì, anche durante le feste natalizie, lasciando al margine i
pacchetti da confezionare), alla lettura di altri autori e alla critica, al
confronto. E all’apertura della mente. Giorni fa, ero da qualche parte a una
certa presentazione. Tra le varie baggianate ho sentito che “la scrittura deve
comunicare valori, positività, relazioni solo e sempre basate sull’importanza
insostituibile della famiglia, degli affetti veri”, eccetera. No, cara collega
alla prima opera: la scrittura è scrittura, non comunica necessariamente e non
è etica. E’ come un quadro: bello in sé oppure no. Poi. Se esistono scrittori
che sentono il dovere morale di comunicare valori alti (quello della famiglia
fa tanto grotta di Betlemme: vero, indiscutibile, ma serve proprio ribadirlo
ogni istante nella speranza che diventi assoluto?), meglio così. Che la
scrittura incida davvero sul livello culturale di un popolo, che muova le
coscienze, che insinui il germe del confronto pacifico e della non violenza!
Magari fosse. Sogno che si smetta di vedere il sangue, fingersi inorriditi e,
nello stesso momento, suscitare violenza fingendo di essere inconsapevoli del
proprio ruolo nella società. Sogno che l’esempio, l’unica cosa che conta al di
là delle parole, faccia scattare un’emulazione finalmente intelligente,
finalmente vuota di gesti e pensieri di brutale e ignorantissima violenza.
Violenza. Non è solo una
statuetta lanciata in faccia a un uomo, qualsiasi uomo, o a un’istituzione (ci
si pensa, a questo? Qualunque sia il voto che dai alle elezioni, mio lettore,
hai pensato al fatto che in piazza Duomo si è ferita un’istituzione, piaccia o
meno? Sai che a me fa impressione che un’istituzione, anche quando non è vicina
alle mie idee – e non sai se lo sia o meno, mi rifiuto di dire quali siano, le
mie idee politiche, non è rilevante – andrebbe rispettata nell’interesse di
tutti, e della pace sociale?). E’ anche il pettegolezzo storto, è la lite per
il primo o secondo posto a un premio piazzata sui giornali e non sapientemente
sdrammatizzata da chi potrebbe farlo, è la frase idiota detta a una donna (o un
uomo) per interrompere una relazione, è il piccolo dispetto di cui, siamo
certi, nessuno si accorgerà, che si gonfia invece a dismisura e va a finire in
un lago di orrore. Violenza, tutto lì. Che banalità.
Giorni fa ho avuto uno scambio
bellissimo di posta con un amico. Non violenza, ecco l’argomento. Grazie, a
quell’amico. Con il suo fare schivo e timido, affermazioni perentorie e severe
e un sorriso da sciogliermi riesce a scolpire ricordi perfetti. Mi ha ricordato
chi sono meglio di quanto abbiano fatto decine di altri, negli ultimi anni. Non
violenza, o almeno ci provo. Non taccio più, non misuro e nemmeno peso le frasi
con una ritrosia che finora ha solo danneggiato la stima di me, esco libera e a
volte troppo sciolta ma rifiuto la violenza, in ogni caso. Che mi si lasci
dire, come lascio dire agli altri, ma non si prendano le parole come pretesti
per cadere in un modo di vivere che non mi appartiene. Libertà di espressione,
niente censura e non violenza. Ecco ciò che sono o tento di essere. Con molti
errori, certo.
Cosa ti aspetti da me?
Uffa, non ho affrontato
l’argomento. Ho buttato lì la
domanda e l’ho lasciata a metà. Abbiate pazienza: sono su un treno, la testa è
vuota. Qualcosa accadrà.
Il 13/12/2009 presso la sala rossa alle ore 13,00 Aperitivo poetico letterario con la partecipazione delle autrici Maria Giovanna Luini, Claudia Reghenzi, Cinzia Anselmi e Anna Mancini. Coordina il poeta Çlirim Muça.
Maria Giovanna Luini parlerà di Una storia ai delfini, Claudia Reghenzi di Giallo all'ombra del vescovado, Cinzia Anselmi di La maschera del successo e Anna Mancini di Maat, la filosofia e la giustizia nell'Antico Egitto.
13 Dicembre 2009 alle ore 13.00 Superstudio Più via Tortona, 27 - MILANO
Manda brevi messaggi email e pezzi di musica. Nell'ultimo messaggio, musica di Scarlatti. Ascolto molte volte, spesso è notte quando approfitto del silenzio per perdermi e immaginare. E' bello sapere che esista da qualche parte, lontano oppure vicinissimo, un uomo (il cui volto ho intuito da una fotografia) che suona per me. E spedisce, poi, i pezzi perché li possa ascoltare. Il nascisismo che non mi manca è gratificato, ma non si tratta solo di questo: queste mani misteriose che suonano e mandano messaggi ricostruiscono l'idea, l'impressione, come in un soffio impertinente, di delicatezza e pensiero. Delicatezza, pensiero. E' un'impressione che più volte è mancata, in questi anni recenti di rivoluzione e cambiamento: ho conosciuto uomini capaci di grandi crudeltà e piccineria impagabile, ma ne ho incontrati alcuni densi di tenerezza, e stupore per la bellezza di uno sguardo. Uomini che, a tratti, hanno saputo spiegarmi l'amore. Dico l'ennesimo grazie, in queste righe pubblicate dopo una giornata di viaggio e mare grigio e freddo, a chi mi spedisce la musica: non sono costante nelle risposte, probabilmente deludo le tue aspettative, ma la tua arte è compagnia frequente dei miei silenzi.
Strano come la posta che ricevo si assomigli nel contenuto in base a ciò che pubblico nel blog. O forse non è strano: la lettura provoca reazioni, che sono echi di ciò che nel blog compare e suscita riflessione. O critica. O emozioni. Insomma, alcune donne mi hanno parlato di amore nelle lettere notturne (tutte scritte di notte!) che hanno riempito il mio indirizzo email. Queste lettere, molto belle, hanno raccontato vite a frammenti e posto domande; si sono accavallate alle domande che ho ricevuto venerdì sera a Senigallia, alla presentazione di "Diario di melassa". A Senigallia, CG, una donna che considero amica e sento spesso in Facebook, ha chiesto se creda ancora nell'amore. Se dia fiducia all'amore. Il senso della domanda era questo: nei libri racconto amori mancati, interrotti, tragici, spesso traditi; come posso fidarmi ancora quando amo qualcuno, se la mia visione dell'amore è questa? Più o meno, è ciò che colgo anche nelle lettere recenti delle lettrici: ci si fida ancora dell'amore quando gli eventi hanno portato molto dolore? Confesso che la mia risposta è meno lineare rispetto al passato. L'istinto, fino a qualche tempo fa, mi avrebbe imposto di dire un "sì" convinto, spregiudicato, incosciente, un sì destinato a gettarmi nell'azzardo e nel pericolo con il sorriso sulle labbra. Ma. I tempi sono diversi, e qualcosa dentro è cambiato. Provo a raccontare che cosa.
Perdonate la digressione di vita vissuta, mi serve per calare nel reale parole che potranno sembrare filosofia da niente. In un momento della mia vita, ho amato molto qualcuno. L'ho amato tanto da accettare la consapevolezza che, prima o poi, l'amore sarebbe finito; e ho fatto ancora di più, non l'ho solo amato: mi sono fidata. Ho creduto che, anche nella peggiore delle situazioni, quell'uomo avrebbe rispettato un patto di lealtà da lui stesso proposto nei momenti migliori, e mi avrebbe parlato con tatto e delicatezza di un'eventuale rottura tra noi. In realtà, avevo dimenticato questi dettagli, avevo perfino rimosso la faccia di lui, mi sono ritornati in mente l'altra sera mentre lavoravo alla seconda stesura di un romanzo che al momento riempie le mie ore. Quell'uomo, a un certo punto della nostra storia, incontrò un'altra donna e con lei iniziò una relazione; lo capii dai soliti, squallidi segnali (resterà mirabile un telefono cellulare lanciato di fretta, nel bagno, a un mio incauto presentarmi sulla soglia: chi di voi ha vissuto una cosa del genere può capirmi) e provai a chiedere, ma mi sentii rispondere con una serie di banalità che solo una mente ottenebrata dall'amore avrebbe potuto accettare. La mia mente, ahime. L'ultima volta che lo vidi, preparò ogni cosa alla perfezione: trascorse la notte con me, si fermò a casa mia anche la mattina, poi mi portò a pranzo e aggiunse una passeggiata al mare. Per poi sparire senza spiegazioni e liquidarmi, dopo circa un mese, con l'epica frase (rigorosamente telefonica): "Sei stata una piccola parentesi".
Sei stata una piccola parentesi.
Bene, fine del siparietto autobiografico. Sarebbe inutile, autolesionistico e fuori dal tempo presente soffermarci sul dolore devastante che quelle parole hanno provocato, senza una vera ragione per il suo pronunciarle. Fermiamoci alla frase, vero nucleo di tutto. A Senigallia, venerdì sera, ho tentato di analizzare le motivazioni per cui un uomo, finito l'amore (o l'affetto, o la simpatia, mettetela come vi pare), debba lasciare andare dalle labbra una frase del genere. Gratuita, non necessaria, fonte di dolore tremendo per chi la riceve, definitiva nell'azzerare la stima. Sincerità? No, è una risposta sciocca. Che sia stato sincero o meno, credo che nessuno abbia voglia di farsi ricordare come quell'uomo inevitabilmente è ricordato da me: un povero cretino. Disprezzo? E perché? Perché disprezzare chi ti ha amato, chi tu stesso hai amato? Scarsa educazione? Sì, questo sì, perché una cosa che ho dovuto per forza constatare è che, nonostante un'immagine sociale particolarmente "ricca", quell'uomo non abbia mai dato prova di particolare eleganza. Insomma, che l'amore finisca capita continuamente, ma che si ferisca qualcuno con poche parole buttate fuori così non dovrebbe essere previsto dal manuale del perfetto ex-amante.
Ritorniamo alla fiducia nell'amore, alla voglia di investire in una nuova storia dopo relazioni abbozzate, cadute, sfracellate per varie e più o meno evidenti ragioni. Rispondo a CG e alle lettrici: sì, credo valga la pena comunque di investire e buttarsi, credo che l'amore contenga il mistero della rinascita e della felicità, fuso insieme al dramma e all'imprevedibilità più assoluta. In fondo, dopo il povero cretino ho incontrato un uomo meraviglioso, una specie di miracolo, che ha saputo restituirmi dolcezza e passione senza la necessità di provocare inutile dolore. Però. Se dalla ferita della perdita di qualcuno che amiamo possiamo senza dubbio guarire, la ferita della delusione non rimargina mai completamente. Incredibile a dirsi, non ho ritenuto di dovere perdonare il nuovo amore del povero cretino (aveva il diritto di innamorarsi, come avrà il diritto di disamorarsi dieci, cento, mille volte), ma non potrò fare a meno di ricordarlo come qualcuno che non ha avuto coraggio, e che volontariamente ha provocato un dolore non necessario. Qui, proprio in questo insignificante dettaglio, la fiducia vacilla. E non sono pronta, brillante e schietta come una volta nel rispondere ale domande di CG e di altre lettrici.
Una di loro, una di queste lettrici, pone una domanda in particolare. "L'uomo che mi interessa è sposato, e ha avuto altre amanti in passato. Come posso essere sicura che non tradirà anche me? Dice di non essersi mai trovato tanto bene con una donna, ma devo credergli?". Cara FM, mi chiedo ogni giorno il motivo per cui queste domande vengano poste a me (i miei libri non sono l'esempio limpido dell'esperienza positiva in amore), tuttavia so di avere ragione quando dico che l'uomo che ti interessa tradirà te e qualsiasi altra donna avrà in futuro, e no, non dovresti credergli. E' uno schema: lo ripeti tu e lo ripete lui, come in un copione. Esistono uomini che tengono aperte molte porte e non sanno chiuderle, ne esistono altri che vivono con il bisogno di moglie e amante, e ce ne sono alcuni che, dopo anni di totale infedeltà, provano la strada della relazione serissima: questi ultimi si infilano il paraocchi, tirano dritto finché capita qualcosa che li fa cadere. E dopo la caduta non trovano più la strada. Comunque. Non fidarti del'uomo che ti interessa, ma decidi per te. Sii libera, prendi la vita nelle mani e vai avanti. Chi ha detto che non si debba amare un uomo che, prima o poi, tradisce? Stai attenta però a non farti troppo male, metti te stessa prima di lui. Sempre.
Oh, che impressione. La posta del cuore sta diventando davvero "l'angolo Liala": chissà come sono contenti i miei colleghi che parlano invece di massimi sistemi! Ma cosa volete farci, ho questa fissazione di rispondere a tutti,lo faccio in privato e, qualche volta, anche nel blog. Soprattutto, me ne frego altamente di ciò che pensano i nasini ritorti in su.
Un gentile lettore insiste nel mandarmi email pornografiche con descrizioni dettagliatissime dei nostri improbabili, futuri rapporti sessuali. Grazie anche a Lei, è tenace e fedele in questo autoerotismo comunicativo, ammetto che nell'ultima lettera le fantasie erano meno banali e un tantino migliori delle precedenti, però non riesco proprio a vedere un futuro per me e Lei insieme. E non lo vede neanche Lei, sono certa. Sarà per un'altra vita.
Moltissime lettere riguardano "Diario di melassa". Sono lettere di donne, ma c'è anche qualche uomo, che hanno sofferto o soffrono di "binge eating disorder". Come me. Questi lettori dicono di sentirsi capiti, di leggere nelle poche e scarne pagine del libro la descrizione di ciò che accade davvero, al di là e oltre la retorica di scrittori che tentano di dipingere i disturbi alimentari come malattie poetiche e tormentose con un filo di romantica poesia. Nessuna poesia, il binge eating disorder fa schifo. Mangi tutto, mescolando sapori che non senti e buttando giù senza masticare, rischi di soffocare nella cioccolata mista al prosciutto crudo e maionese, e fai in fretta, sempre più in fretta, ti nascondi anche quando sei sola in casa, poi ti senti il peggio del peggio, lo scarto abietto e inutile dell'umanità, ma non puoi fermarti. Il mondo ti guarda, se ingrassi a dismisura come è capitato a me ti osservano con un punto interrogativo sulla fronte e chiedono "Ma tu che sei così intelligente, perché sei grassa? Basta solo smettere di mangiare".
Basta solo smettere di mangiare.
Altra frase che fa il paio con quella del povero cretino, qualche paragrafo più su. No, che non basta smettere di mangiare; o forse sì, basta quello, ma da soli non si riesce! Perché tutto passa attraverso il cibo, la dolcezza, la voglia di amore, il sesso, la rabbia, la nostalgia, la noia. Il cibo è amore che non c'è, è il tentativo di riempire una voragine nerissima che, fatalmente, non si riempie mai, resta vuota e sempre più grande, nonostante le tonnellate di roba informe, a volte perfino scaduta, che si butta dentro. Il cibo, per chi unisce al disturbo il ricordo di molestie sessuali, è il modo per respigere attenzioni malsane oppure sanissime ma difficili da accettare, è il modo per coccolare se stessi perché le coccole umane non bastano, oppure non si riescono ad accettare. Il cibo è nemesi e priorità assoluta. E questa è una MALATTIA.
Il binge eating disorder è una malattia. Notizia buona per chi ne soffre perché, come è capitato a me, si può chiedere aiuto. Non so se si possa definire guarigione ciò che accade dopo, quando l'aiuto professionale porta a stare meglio: guardate le mie foto in tempi diversi della vita, capirete che il cibo è rimasto una reazione spontanea agli eventi belli e brutti che capitano, però è possibile conoscere se stessi e imparare a salvarsi, a limitare i danni. A fermarsi, là dove per anni non siamo stati capaci di farlo. Ciò che mi auguro è che "Diario di melassa" dica che si può migliorare, e stare molto, molto meglio. Non era nelle mie intenzioni dare un senso al manoscritto: quando scrivo non ho finalità etiche o terapeutiche, metto giù quello che l'istinto e la ragione vogliono, però ho capito, grazie a chi ha letto il libro e ha voluto condividere con me le proprie impressioni, che raccontare qualcosa di sè a volte può fare sentire capiti, incoraggiati. Può fare sentire più leggeri, in tanti sensi.
Concludo con altre lettere, pesanti e dense di dolore. Qua e là, non solo in "Diario di melassa", ho parlato di incesto. E la cosa ha creato rabbia, dolore, empatia, insulti, voglia di confessioni epistolari. Penso che l'incesto sia abnorme, mi succede di accorgermi che tanta gente arrivi al mio blog digitando sui motori di ricerca "racconti erotici in famiglia, con cognate, figli, sorelle, madri". Questo mi rende triste, ma fa anche tanto pensare. Il confine tra incesto e attrazione sessuale casuale, involontaria, caduta addosso senza premeditazione è sottilissimo. Giudicare a priori è sbagliato. Però il problema esiste, e crea sofferenza. L'incesto viene nascosto, ma spesso percepito ugualmente: si sa e non si dice, si fa tutto per coprirlo. Ma, di notte, si controllano i siti che pubblicano racconti e video pornografici per cercare la trasgressione massima: ho visto molti siti del genere, succede spesso che vada a vedere perché in un prossimo romanzo racconterò parte dell'esperienza con queste letture, e ho capito che tuonare con aria pontificale non basta, non è la soluzione. A chi mi ha scritto non ho risposte intelligenti da dare, se non che, forse, la repressione sessuale palpabile di una società che usa internet, ha a disposizione tecnologia da sogno e apparentemente è riuscita a raggiungere il massimo della libertà, sia ancora troppo pesante. Si cerca di trasgredire almeno a parole, o nella lettura, distorcendo il significato di una parte meravigliosa della vita: il sesso. Niente di più naturale, istintivo e appagante del sesso. Eppure, come per il cibo, anche per il sesso esiste il disturbo, l'abbuffata patologica che scompensa e colpisce duro.
A proposito. Qualcuno ha chiesto come mai scriva racconti erotici. Non esiste un motivo che riesca a spiegare. Considero il sesso una realtà stupenda, necessaria, superflua negli atti per chi non desidera o non può viverlo, ma integrata radicalmente nell'essere. Mi piace scriverne, in alcuni momenti. C'è il momento per scrivere il sesso, e il momento in cui il sesso proprio non fa parte della scrittura. Succede che ironizzi descrivendo situazioni eccitanti, al limite del pornografico, oppure che sia serissima e intenzionata a parlare di relazioni che stimolano la mia fantasia. Succede che non trovi motivo per non parlarne, che non veda il male (no, proprio non lo vedo) o la "caduta di stile" (alludo alla lettera di CC): perché il sesso dovrebbe fare cadere lo stile? Lo stile cade se la scrittura è brutta, ma non è certo colpa dell'argomento! Chissà perché, la domanda più frequente è se i miei racconti siano tutti vita vissuta: volete sapere se trascrivo le mie avventure per la gioia dei lettori e per il narcisismo inevitabile di ogni scrittore? Certo, ogni pezzo di scrittura è vita vissuta da qualcuno, e lo scrittore nemmeno lo sa: non racconto la mia vita sessuale (forse) e neanche quella di persone che conosco, racconto situazioni possibili, probabili, realistiche o meno, ma concrete. Da qualche parte, in qualche luogo. Non è importante, per me. E' chiaro che conosca il sesso, ma anche nei racconti erotici, come nel resto delle cose che scrivo, ritengo che la mia vita sia per niente interessante: trovatemi dove vi pare, forse ho fatto ciò che scrivo o forse no, non è questo che davvero conta.
Concludo, ora, davvero. Ritornerò con altre lettere più avanti.
A tutti, tutti voi, un sorriso e un grazie incredulo e felice: ricevere le vostre parole, qualunque sia l'argomento, è una parte del mio essere che regala emozioni importanti. Mi rendete un po' migliore.
I social network sono luoghi senza spazio fisico né tempo, dove molto è virtuale. Molto, ma non tutto. Possiamo arricciare il nasino millantando orrore e superiorità, ma internet è uno strumento di comunicazione straordinario, e i social network, se usati con la medesima intelligenza che dovrebbe guidare ogni azione quotidiana, non sono altro che piazze assolate o fresche, piene di neve o pioggia, dove ci si trova, ci si lascia, si ama, si odia, si piange, si canta, si fa l'amore, si discute e si condivide.
I mezzi a disposizione su Facebook, uno dei più noti social network, sono belli e interessanti. Chi scrive ha il desiderio, espresso in modo più o meno palese, che le proprie opere siano lette: internet offre la potenzialità per raggiungere tanta gente e fare conoscere la propria scrittura. Ma non c'è solo questo: c'è la discussione, che, a volte, diventa intrigante, piena, sottile o spessa, lascia tracce di sangue, sudore e fiele, oppure dolcissime riflessioni. Per questo ho aperto, cedendo a qualche pressione dei lettori, un gruppo che si chiama "MariaGiovanna Luini" e che, orrore, avrà un pulsantino con la scritta "diventa fan": ogni volta che noto quel pulsantino virtuale vorrei buttare il computer dalla finestra e chiudere il gruppo, la cosiddetta "pagina ufficiale", perché la parola fan non mi piace. Pazienza, fingerò di non vedere. Ho una certa abilità nel fingere di ignorare ciò che accade, spesso conviene.
Il gruppo su Facebook vuole essere un ritrovo per chi ama la scrittura e i libri. Non parleremo solo dei miei libri, anzi spero che subito ci si immerga in digressioni che riguardano altri scrittori: vorrei che chi avrà voglia di unirsi a noi esca dalle discussioni con la voglia di leggere, leggere, leggere, che abbia la possibilità di sapere dove sono i suoi scrittori preferiti e quando, conosca i festival e gli eventi delle case editrici e i progetti più rilevanti che riguardano la scrittura.
Ai viandanti del web iscritti a Facebook offro l'appuntamento da me, per un aperitivo letterario e uno scambio di parole e vita. Ecco il LINK.
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